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L’EX COLONNELLO GORDIESVKY

«Io non ho poi mai saputo se Romano Prodi fosse o non fosse stato reclutato dal quinto dipartimento del Kgb, ma una cosa è certa e la ricordo benissimo: quando io ero a Mosca fra il 1981 e il 1982, Prodi era popolarissimo nel Kgb: erano entusiasti: lo trovavano in sintonia dalla parte dell’Unione Sovietica. Inoltre il Kgb non arruolava mai iscritti al partito comunista, perché era proibito, ma solo persone orientate a sinistra ma non comuniste, con una predilezione per i professori universitari e tutti coloro che potevano orientare l’opinione pubblica». Così mi dice davanti al registratore Oleg Gordievsky, il più grande dissidente e transfuga dal Kgb, diventato poi un alto ufficiale dei servizi di intelligence britannici e il più autorevole storico della materia insieme al professor Christopher Andrew con cui scrisse un testo fondamentale per l’Università di Cambridge: Kgb, la storia delle sue operazioni all’estero, da Lenin a Gorbaciov (tradotto in italiano come La Storia segreta del Kgb, editore Rizzoli). L’intervista è avvenuta durante un incontro di otto ore nella casa di Gordievsky, un pittoresco cottage nei boschi a un’ora da Londra.
È la moglie di Oleg Gordievsky che mi viene a prendere su una Citroën rossa davanti alla vittoriana stazioncina ferroviaria della cittadina in cui vivono. Dopo otto ore di conversazioni e rivelazioni credo di poter dire che siamo diventati amici e ci saluteremo con simpatia sotto una fitta pioggia da film inglese davanti alla stessa stazione, quando ormai sarà notte.
La moglie di Oleg è una signora adorabile che ha imbandito il tavolo davanti alla finestra sul giardino dove vengono a mangiare le volpi che Oleg nutre insieme agli scoiattoli. Il cottage è spartano e fiabesco allo stesso tempo. Maureen ha preparato una serie di eccellenti tartine con formaggi francesi, salmone scozzese, vino italiano e suo marito metterà in tavola non poche verità finora mai rivelate. Quando parliamo di Prodi sul cui conto, da Presidente della Commissione Mitrokhin, ho apertamente e convintamene indagato, Gordievsky ha un moto di stizza come se si volesse liberare di un peso, dopo che in troppi hanno solo sottolineato il fatto che lui effettivamente non sa se Prodi fosse o non fosse diventato un agente di influenza del Kgb.
Indica il registratore che per ore mi ha vietato di usare e finalmente mi dice: «Voglio fare una dichiarazione che non ho mai fatto finora». Sorseggia il vino nel calice e dice che Prodi era apprezzatissimo nel Kgb e che al quinto direttorato parlavano molto di lui e sempre con entusiasmo: il che ovviamente non dimostra che Prodi fosse diventato un uomo del Kgb, ma spiega come fosse semplicemente doveroso da parte della Commissione d’inchiesta esaminare seriamente questa ipotesi per quanto oggi appaia imbarazzante dal momento che Prodi è l’attuale presidente del Consiglio dei ministri.
Dice dunque Gordievsky: «Nel periodo 1980-81 ero a Mosca e allora frequentavo gli uomini del dipartimento che adesso si chiama servizio di intelligence sull’estero (SVR, ndr) e sentivo continue voci (“rumors”) da cui si capiva che Romano Prodi era particolarmente popolare fra chi nel Kgb si occupava di Francia, Spagna e Italia. Ma era più che altro l’Italia il Paese in cui il quinto dipartimento riscuoteva maggior successo avendo arruolato più di cento agenti regolari senza contare le migliaia di collaboratori volontari. A quell’epoca non avevo interesse a chiedere come fosse andata a finire e se l’avessero davvero arruolato o solo mantenuto come un possibile utile contatto per le operazioni. Questo non lo so e infatti non lo dico: ma posso garantire che la sua popolarità nel Kgb era grandissima».
Che cosa intende per popolarità?
«Dicevano: Prodi è più o meno pro Unione Sovietica, ed era ovvio che fosse considerato un potenziale candidato per un arruolamento nel Kgb. Ma il fatto è che i candidati italiani erano migliaia, specialmente fra i politici e Prodi era per me soltanto un possibile candidato fra tanti. Che poi alla fine l’avessero reclutato o no, non l’ho mai saputo perché lasciai Mosca e non potevo avere questo genere di informazioni ed è il motivo per cui, onestamente, ho sempre risposto che non mi risulta e non posso affermarlo, a chi mi chiede se Prodi avesse un rapporto con il Kgb».
E secondo lei il Kgb in Italia si occupava di lui?
«È ovvio che nella stazione del Kgb a Roma ci fossero alcune persone che lo conoscevano bene personalmente, o che lo seguivano comunque molto da vicino».
È vero che il Kgb arruolava prevalentemente negli ambienti universitari evitando i membri del Partito comunista italiano? «La decisione di non reclutare agenti del Kgb fra i membri del Pci fu presa molti anni fa. Era proibito. La spiegazione di questo divieto fu che bisognava evitare il potenziale discredito del partito comunista nel caso che un agente fosse stato scoperto. Ma la seconda ragione consisteva nel fatto che non c’era alcun bisogno di reclutare i comunisti perché erano gente nostra in ogni caso: potevamo sempre rivolgerci a loro chiedendogli qualsiasi cosa, e loro ce la davano senza chiedere un contratto di arruolamento col Kgb. Per questo venne stanziato un budget illimitato per reclutare membri del Parlamento fra gli esponenti non comunisti, ma simpatizzanti per l’Unione Sovietica. Poi, fra le categorie più ricercate venivano i professori d’università, i dirigenti industriali e qualsiasi persona capace di indirizzare la vita pubblica o esercitare un’influenza sul governo. Il colpo migliore era reclutare qualcuno direttamente all’interno del governo, o persone in grado di influenzare le scelte di governo. Poi seguiva chi lavorava per il governo, il personale dell’amministrazione civile, dell’esercito, del ministero degli Esteri e del gabinetto del Presidente del Consiglio. Questo era l’abc, per così dire, del Kgb».
Le risulta che membri del Partito comunista fossero addestrati, sia pure non come agenti del Kgb, per azioni illegali?
«Sì, fino alla fine e in diversi tipi di scuole a Mosca e fuori Mosca».
Fino a quando?
«Fino al 1991, ma ancora nel 1992 molti comunisti, anche italiani, frequentavano le scuole per comunisti stranieri a Mosca. Mia sorella insegnava in una di queste scuole e so perfettamente come andavano le cose».
Era solo un insegnamento politico-ideologico?
«I comunisti italiani, e anche di altri Paesi che vivevano in libere democrazie e dunque non dovevano combattere contro tirannidi e dittature, venivano istruiti non soltanto nell’ideologia marxista leninista, ma anche in discipline che non avevano nulla a che fare con la politica, come ad esempio le comunicazioni cifrate. Mi chiedevo: che senso aveva un tale addestramento per comunisti che vivevano liberamente in regime di democrazia? Ci rispondevano che tutti i comunisti, anche dei Paesi democratici, dovevano essere comunque addestrati alle comunicazioni codificate per poter entrare in clandestinità in caso di colpo di Stato di destra o di un’invasione americana».
E tutto questo accadeva durante gli Ottanta e Novanta?
«Gliel’ho già detto: fino al 1992, fino alla fine dell’Unione Sovietica».
Dunque anche in piena era di Gorbaciov, il democratico.
«Ma che differenza vuole che facesse Gorbaciov? Era comunque piena era sovietica, fino alla fine: con Gorbaciov non era cambiato proprio niente. E infatti, fino al 1991 sono state spese montagne di soldi per addestrare i comunisti stranieri».
In Italia i comunisti sostengono che questi addestramenti avvennero soltanto negli anni Settanta, quando ci sarebbe stato secondo loro un vero pericolo di golpe e perché erano stati i comunisti italiani ad aver chiesto loro di essere addestrati all’arte della clandestinità. Ma hanno sempre negato con fiero sdegno che gli addestramenti si fossero protratti fino alla fine dell’Unione Sovietica, cioè fino all’altro ieri.
«E invece è come le dico io: gli addestramenti continuarono in tutti i settori e in tutte le aree geografiche e si dividevano fra scuole ufficiali dentro Mosca e scuole segrete fuori Mosca. Lì sono stati addestrati fino alla fine non soltanto i comunisti occidentali come gli italiani, ma tutti i gruppi palestinesi e quei terroristi arabi che poi diventeranno i capi di Al Qaida. Senza contare la gente che veniva dall’Angola, dal Mozambico, Sud Africa, dal Nicaragua, Cuba e Cile. Tutti seguivano corsi di tre tipi: militare, spionaggio e controspionaggio. I corsi di spionaggio e controspionaggio si seguivano nelle scuole segrete fuori Mosca. Quindi è evidente che tutti, italiani compresi, erano addestrati non per difendersi da inesistenti colpi di Stato, ma per preparare regimi pro sovietici specialmente in Asia, Medio Oriente, Africa e America Latina, ma non solo».
Lei ha fatto un riferimento ad Al Qaida. Può dire di più?
«Diciamo che fu fatta dal Kgb una selezione di persone da addestrare provenienti dall’Afghanistan, dal Pakistan, dai Paesi del Medio Oriente, dall’Iran, dall’Irak e dall’Arabia Saudita: diventeranno tutti i futuri quadri di Al Qaida. Anzi, proprio il colonnello Alexander Litvinenko su questo punto ha fatto analisi acutissime e non poche rivelazioni importanti: chi ha addestrato questa gente forse non si aspettava l’11 settembre, ma era perfettamente consapevole di aver creato ed oliato dei meccanismi per la produzione di terrore che avrebbero dunque portato il terrore contro l’Occidente, come era stato loro insegnato».
Litvinenko ha detto nell’intervista alla Novisti Ucraina del 28 dicembre 2005 che il famoso capitano Talik, per aver calunniato il quale Mario Scaramella è in galera, era connesso con Al Qaida. Ne sa niente?
«Posso solo dire che c’è sempre un legame fra esperti di terrorismo sovietico e Al Qaida, ma di quest’uomo specifico non sono in grado di dire che ruolo avesse».
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