RomaCome può uno scoglio arginare il mare, gorgheggia il ministro La Russa dal palco. La folla si galvanizza, si immedesima nellonda di popolo capace di sfondare le rocciose spigolosità del burocrate. O della solita sinistra abbarbicata sui faraglioni.
Ma poi, a ben vedere, lo scoglio è anche unentità invisibile e insidiosa, che affiora nelle bonacce ma è capace di mandare a picco le navi nella tempesta. Lo scoglio è un«assenza». Un«estraneità» dal contesto: magari programmata, annunciata, accettata sullaltare di un concetto talmente astratto da svaporare nel nulla, le cosiddette «ragioni istituzionali». Gianfranco Fini non cè, il presidente della Camera si ritaglia una «pausa di riflessione» in poltrona che, nonostante tutto, ha un bel peso specifico.
Non sono mancati precedenti di «presidenti» in piazza o comunque alle manifestazioni di partito: la Pivetti a Pontida, Casini allUdc, Bertinotti assieme ai pacifisti. Certo, presidenti silenti, ma partecipi alla loro «parte» politica: la squadra in gioco che non può esser confusa con il ruolo di arbitro parlamentare. «Ciascuno ha il proprio stile istituzionale», dice con aplomb il senatore Andrea Augello. Non trattandosi di un fedelissimo in senso stretto di Gianfranco, la difesa è autorevole: descrive una «solidarietà tra le istituzioni» tirate in ballo dagli attacchi di Di Pietro, alla quale Fini «non si sottrae per nulla», restando «idealmente» accanto al presidente del Consiglio, «ma anche al presidente della Repubblica per il quale qualcuno è arrivato a chiedere limpeachment», dice Augello, che è anche il coordinatore della campagna elettorale della Polverini.
Eppure al popolo di destra in piazza mancava per la prima volta uno dei simboli cardine della propria identità: il delfino di Almirante, il segretario del Fronte della gioventù e poi del Msi, il candidato sindaco di Roma del 93, il traghettatore di una storia attraverso le acque di Fiuggi, il cofondatore del Pdl. Mancava il simbolo, ma lassenza esprimeva, più di ogni altra cosa, i passaggi di questo «popolo». La sua fusione con altre storie, la totale adesione al carisma del Capo - che già da tempo è Berlusconi e, dunque, un mondo alieno dalla politica almeno quanto questi qui, fin dallinfanzia, hanno masticato pane e politica.
Il «vuoto» rappresentato da Fini è, allora, un vaso colmo di significati che vanno molto oltre la presunta «divergenza» sulla questione delle liste o gli altri «strappi» che il presidente della Camera non ha mai mancato di nascondere. Nella piazza di San Giovanni, tanto per fare un esempio, lipocrisia di una «diarchia» allinterno del Pdl si è dissolta in questo «nulla». In una «semplice» assenza e unassenza che si potrebbe perciò definire «naturale»: persino «necessaria» se si voleva rimarcare una divergenza di vedute (non mancano voci di un incontro riparatore già nei prossimi giorni). Ma allo stesso tempo essa, lassenza di Fini, stabilisce anche che la «ripartenza» avverrà da un popolo che non vede altri leader che Silvio. Avrà anche ragione Flavia Perina, pretoriana di Fini, a definire «non drammatica» la partita allinterno del Pdl, e Della Vedova a invocare una «competizione di idee» che ridia linfa a un matrimonio spento. Però si dovrà anche definire una buona volta chi porti i pantaloni in casa. E la facile regola che i continui dispetti, o le «scappatelle» fuori porta, prima o poi, mandano in frantumi il vasellame.
Cerano tutti in piazza: anche gli amici di Gianfranco (che non mancherà certo di complimentarsi con Silvio per il successo). Oltre alla Perina e Della Vedova, il vicecapogruppo della Camera, Italo Bocchino, visibilmente a disagio dopo le contestazioni di Napoli (che ieri si sono ripetute nei confronti del ministro Ronchi). Nonché senatori e deputati: da Candido De Angelis a Carmelo Briguglio. Per nulla «spioni per conto di», come vorrebbe la facile fola popolare, bensì avanguardie decise a scongiurare che «il governo galleggi», come dice la Perina, e costruire un partito che resista «anche dopo».
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