L'ex presidente polacco Lech Walesa e l'ex ministro degli esteri Bronislaw Geremek hanno espresso in una lettera solidarietà alla giornalista e scrittrice italiana Oriana Fallaci accusata di aver offeso i seguaci dell'Islam. Un'accusa che le è costata una citazione a giudizio davanti al giudice monocratico del tribunale di Bergamo per il reato di vilipendio alla religione, nel caso specifico islamica, per alcune frasi (18 in tutto) contenute nel libro La forza della ragione. «Oriana Fallaci nel corso di tutta la sua vita si è battuta per la libertà di parola», scrivono i firmatari. «Ci rendiamo conto delle controversie che suscitano le sue attuali opinioni ma protestiamo contro il processo, il quale sta violando proprio questa libertà (di parola)», continua la lettera inviata oggi in vista del processo alla Fallaci che inizierà il 12 giugno. La lettera rientra nell'ambito dell'attività dell'Associazione «L'Europa dell'avvenire» fondata nel gennaio 2005 con sede a Breslavia, nel sud-ovest della Polonia e presieduta da Joanna Orska. L'iniziativa è stata sostenuta anche da padre Adam Boniecki, direttore del settimanale Tygodnik Powszechny (cattolico) di Cracovia e dalla professoressa Maria Janion, i quali insieme con altri firmatari - esprimono la preoccupazione perché «la decisione del giudice di Bergamo mira a limitare i diritti umani che costituiscono la conquista più importante della democrazia europea». Secondo Orska, la lettera per la Fallaci sarà seguita da altre manifestazioni.
Intanto a pochi giorni dalla prima udienza di Bergamo, il legale di Smith, il penalista napoletano Ugo Fannuzzi, avanza il sospetto che l'imputata non si presenti aula. E alza il livello della polemica. «Ho questo sentore - ha detto Fannuzzi - la Fallaci lunedì invierà un certificato medico. Pertanto il 12 nemmeno io sarò a Bergamo». Il pm Maria Cristina Rota chiese inizialmente l'archiviazione del caso, richiesta respinta dal gip Armando Grasso. Quest'ultimo ha deciso la cosiddetta imputazione coatta, e quindi la citazione diretta davanti al Tribunale, sulla base del reato previsto: in sostanza offesa alla religione ammessa dalla Stato, in questo caso quella islamica, mediante il vilipendio di chi la professa.
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