L’export fa correre l’America ancora più forte

In buona salute il mercato del lavoro: in calo i sussidi di disoccupazione

Rodolfo Parietti

da Milano

E adesso, che farà Ben Bernanke? La domanda sulle prossime mosse del presidente della Federal Reserve ha cominciato a circolare ieri con una certa insistenza non appena il dipartimento al Commercio Usa ha tirato fuori dal cilindro la notizia che nel primo trimestre il motore dell’America ha corso a un ritmo quasi forsennato: un più 5,3% che, oltre a cancellare la stima preliminare del 4,8% diffusa 30 giorni fa, è inferiore solo all’impennata del 7,2% messa a segno nel 2003 a cavallo tra luglio e settembre, quando però l’apporto delle spese militari aveva fortemente condizionato l’andamento del Pil.
Gli analisti, per la verità, si aspettavano un risultato perfino migliore (5,8%). Ma la sostanza non cambia: in attesa di misurare l’entità del rallentamento economico previsto nel secondo trimestre (il consensus punta a un incremento del 3-3,5%), i dati di ieri confermano quale leva abbia rappresentato il deprezzamento del dollaro sulle esportazioni, cresciute del 14,7% e con un peso sulla dinamica del prodotto lordo dell’1,47; e confermano, anche se la crescita è inferiore rispetto alla prima stima, il contributo decisivo degli investimenti aziendali (più 13,1%) e dei consumi privati (più 5,2), da cui dipende per due terzi la crescita dell’economia americana. La causa principale della revisione al rialzo del Pil gennaio-marzo è però la revisione delle scorte di magazzino, risultate più alte del previsto (32,3 miliardi di dollari contro i 21,9 calcolati in aprile).
Quanto al fronte inflattivo, appare ancora sotto controllo: il dato di ieri ha evidenziato che salari e compensi vari sono saliti al tasso annuale del 5,8% nel primo trimestre contro il più 1,6% registrato negli ultimi tre mesi 2005. Con un’avvertenza: le statistiche sui redditi Usa diffuse nel primo e nel quarto trimestre di ogni anno risentono dei payout elargiti dalle aziende in forma di stock option e bonus. Inoltre, l’indice relativo ai prezzi al consumo al netto di alimentari ed energia, che tradizionalmente si accompagna agli altri dati sul Pil ed è strettamente monitorato dalla Fed per le sue decisioni sui tassi, nel primo trimestre si è attestato al 2%, da più 2,9% degli ultimi tre mesi 2005.
Il trend moderato dei prezzi potrebbe convincere, dunque, la Fed dell’inopportunità di procedere, alla fine di giugno, al diciassettesimo rialzo consecutivo dei tassi, ma di recente lo stesso Bernanke ha più volte posto l’accento sui rischi di spinte inflazionistiche derivanti dai rincari del petrolio. Dall’economia Usa, d’altra parte, sono più volte arrivati nell’ultimo periodo segnali contrastanti.

In particolare dal settore immobiliare: la vendita di case esistenti, per esempio, ha registrato un calo in aprile del 2%, ma nello stesso mese le compravendite di nuove abitazioni sono salite del 4,9%, segno che l’appesantimento dei mutui sta incidendo solo in parte. Forse grazie alla buona salute del mercato del lavoro, nonostante il calo delle richieste di sussidi (40mila in meno nella settimana terminata il 20 maggio) sia stato inferiore al previsto.

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