L’idolatria del nuovo

Perché si dovrebbe pensare che le trasformazioni, i cambiamenti, le rivoluzioni siano valori positivi da perseguire? Perché il nuovo dovrebbe venire considerato un principio filosofico superiore a quello, per esempio, di conservazione?
Tutto il secolo appena trascorso e metà del precedente - dell’Ottocento - sono stati attraversati dall’idea che l’equilibrio, il mantenimento di poteri e di rapporti di forza fossero ostacoli sul cammino della società: il bene della società è nel suo sviluppo, e coloro che non condividono l’azione verso il cambiamento sono reazionari, cioè quanto di più negativo e ottuso ci possa essere all’interno del corpo sociale.
Così assistiamo da oltre 150 anni a una specie di idolatria del nuovo: la vediamo nel mondo delle arti con una rottura radicale dei canoni espressivi che non comunicano più niente di comprensibile. Una idolatria analoga è presente nel mondo scientifico: nessun limite è tollerabile dalla ricerca e qualunque interrogazione etica sui problemi sollevati dalla scienza è considerata un’intromissione nella libertà dello scienziato. In economia, la rivoluzione industriale della metà dell’Ottocento ha dato inizio a una serie di trasformazioni di cui oggi si riesce a mala pena a venire a capo grazie soltanto a sofisticate operazioni di ingegneria finanziaria.
Nuovo, progresso, trasformazione, rivoluzione sono le parole che hanno contrassegnato tutto ciò che di buono, di bello e di giusto è stato fatto nella modernità; mentre il negativo è stato identificato in tutto ciò che si è opposto al nuovo, al progresso, alla trasformazione, alla rivoluzione. Chi nell’arte ha rifiutato le esperienze formali delle avanguardie è stato marchiato con l’infamante parola di antimoderno, e reazionari sono stati considerati tutti coloro che hanno avanzato soltanto qualche sospetto sulle rivoluzioni economiche e sugli sviluppi della ricerca scientifica.
L’idolatria del nuovo ha contagiato ovviamente anche la politica, per cui l’intelligenza e la lungimiranza stanno dalla parte del progresso, dall’altra ci sono l’ottusità e l’affarismo. Si osservi, per esempio, cosa è accaduto durante il dibattito sulla procreazione assistita: colti erano ritenuti quelli a favore, gli ignoranti quelli contrari. E infatti nessun celebre editorialista si è azzardato ad esprimere un parere contrario ai referendum sulla procreazione assistita, se si eccettua la «fuoriclasse» Oriana Fallaci. Stessa cosa in Francia, sulla questione della Costituzione europea: chi poteva essere contrario se non dei poveri ignoranti e babbei? E adesso è stato passato il testimone di questa geniale staffetta verso il sole radioso del progresso alla Spagna mettendolo nelle mani di Zapatero.
Naturalmente la cultura che conta non si è risparmiata nell’osannare le leggi del presidente spagnolo che trasformano, rinnovano, rivoluzionano la famiglia del 2000: nuova famiglia per il nuovo millennio. Divorzio express, matrimoni gay: sì, qualche perplessità sulle adozioni da parte degli omosessuali, ma piccolezze, ci si abituerà!
Gli idolatri del nuovo ridicolizzano qualsiasi possibilità di riflessione proprio sul significato del nuovo: le pagine dei giornali riportano interviste di registi, scrittori, intellettuali d’ogni genere esaltati dalle leggi di Zapatero: loro sono gay, sono per la coppia aperta, per il matrimonio occasionale e il divorzio rapido. Nessuno che spenda una propria preziosissima parola per riflettere sul dolore silenzioso e inespresso dei bambini che crescono in famiglie irregolari; nessuno che rifletta sulla superficialità di sposarsi dalla mattina alla sera perché tanto, se non va, si divorzia subito. Nessuno che rifletta sul significato decisivo della famiglia in un momento in cui la società si sta scollando da tutte le parti.
Chi affronta e sviluppa questi problemi con profondità, con problematicità conta poco o niente, perché solo chi è immerso nel flusso della corrente del nuovo è degno di considerazione.

Una considerazione però autoreferenziale, chiusa dentro un asfittico gruppo intellettuale che per fortuna non ha nessuna presa sulla gente, come si è visto per il referendum in Italia e in Francia. E in Spagna Zapatero si accorgerà presto che una cosa è dare ascolto alle élite sociali, altra cosa è rispettare la società.

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