«Signor giudice, è una storia kafkiana quella in cui sono rimasto coinvolto (...). Sono solo “responsabile” di aver deciso di non soccombere dinanzi a prepotenze ed illeciti posti in essere da certi soggetti che si dicono continuatori della Dc ma che nulla hanno a che spartire con le origini cristiane e la moralità dei fondatori di detto partito...». Angiolino Zandomeneghi non ci sta a passare per truffatore. In una memoria spiega d’essere lui la vittima di un raggiro organizzato da gente che «ha depauperato le casse della Dc con ruberie, spartizioni illegittime e appropriazioni indebite». Zandomeneghi racconta di essere venuto a conoscenza, nel 2000, della liquidazione del patrimonio immobiliare democristiano. Tramite Emerenzio Barbieri (segretario amministrativo del Ccd) prese contatto «col tesoriere Romano Baccarini, che stava trattando già la vendita» e con il quale aveva già concluso qualche affare. «Baccarini mi indusse a proseguire nella trattativa per acquistare altri immobili (...) Il mio interesse all’acquisto aveva una motivazione fiscale, essendo questi immobili intestati a società in caso di acquisto avrei potuto incorporare in altre mie società che portavano plusvalenze nei bilanci». Zandomeneghi svela qual era il piano dei tesorieri: «Il Ppi avrebbe ricavato dalla vendita danaro (...) e io mi sarei accollato alcuni debiti». Al pagamento del resto, «o meglio dell’unico debito del Ppi nei confronti della Banca di Roma gravante sulle società intestatarie degli immobili (Ser e Immobiliare) perché fideiubenti, si sarebbe fatto fronte con la vendita di Palazzo Sturzo all’Eur del valore di circa 70 miliardi di vecchie lire, peraltro già ipotecato dalla banca ed uscito “gratuitamente dal patrimonio del Ser insieme ad altri miliardi di immobili!”...».
A un certo punto Zandomeneghi tira in ballo direttamente Pierluigi Castagnetti: «Della trattativa era perfettamente a conoscenza l’onorevole Castagnetti che conobbi nel corso di uno dei due incontri con lui avuti. Benedì l’operazione in corso, raccomandandosi al senatore Baccarini (in presenza del quale lo incontrai) perché l’affare fosse portato a conclusione». Dopo i primi accordi, si giunge alla firma del 7 febbraio 2002. Qui emerge «che il prezzo che avrebbe dovuto corrispondere l’Immobiliare Europa ammontava a circa 4 miliardi» di lire. Dopodiché si passa alla voltura delle azioni di due immobiliari della Dc in favore della sua Immobiliare Europa, «lasciando nelle mani del notaio – aggiunge -, un assegno di 1.136.205 euro che consegnò all’onorevole Duce e che costituiva il saldo del prezzo di vendita pattuito (...)». È a questo punto che entrano in campo, spiega Angiolino, i due nuovi tesorieri nominati dal Ppi, Nicodemo Oliverio (parlamentare del Pd) e Luigi Gilli, «i quali espressero per conto dei loro mandanti “idee” diverse sulla destinazione degli immobili». Oliverio e Gilli, insieme ai primi contrattatori (Rotondi, Duce e Baccarini) «proponevano un’azione di sequestro giudiziario delle azioni cedute dalle due immobiliari affermando che i tesorieri che le avevano volturate non erano legittimati al trasferimento». Gilli e Oliverio, dinnanzi al giudice, rifiutano l’assegno, insistendo nel rivolere indietro gli immobili. Il tribunale poi respinge il ricorso. «Veniva così ideato un piano illecito del Ppi per riappropriarsi ad ogni costo delle società e delle proprietà che una sentenza aveva detto essere state legittimamente trasferite all’Immobiliare Europa». Ad agosto 2002 il Ppi presenta istanza di fallimento contro l’Immobiliare Europa, «la cui discussione veniva miracolosamente fissata dal giudice Baccarini (sotto processo a Perugia, ndr) il 14 agosto». Per il Ppi la società di Angiolino era insolvente per non aver versato il prezzo residuo di compravendita, che, spiega Zandomeneghi, «qualche mese prima lo stesso Ppi aveva rifiutato di ricevere». Da qui la denuncia di Zandomeneghi per tentata estorsione. Angiolino respinge l’accusa di insolvenza. Conferma di non dover pagare il saldo del prezzo perché il Ppi non aveva liberato le società dalle fideiussioni (...). Il tribunale ne decreta però il fallimento. «Il Ppi prima aveva venduto gli immobili, poi chiedeva al giudice di averli usucapiti.
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