L’imprenditore-farmacista che cura le casse degli azzurri

Rocco Crimi, il tesoriere di Forza Italia, si prepara alla campagna elettorale: «Certo, spendiamo molto ma da quando ci sono io i debiti del partito son calati»

Appena entro nel suo ufficio e Rocco Crimi mi viene incontro, esclamo tra me: “Perfetto”. Il quarantaseienne deputato di Fi è l’incarnazione ideale del tesoriere di partito. Da un lato, ha la fronte stempiata e la grisaglia grigia del mansueto contabile. Dall’altro, una tale stazza da Marcantonio da dare fisicamente l’idea che il malloppo di Fi è ben custodito.
«Posso offrirle qualcosa?», mi dice l’omone con estrema cortesia. Poi, elenca impacciato le derrate a disposizione della sede romana del partito, in via dell’Umiltà: caffè, tè, bibite, biscotti. Mi limito a un confetto vagante sul tavolino, ma lo deludo perché vorrebbe fare di più per me. È sulle spine per l’intervista.
«Per incontrarmi ha tergiversato. È timido, discreto o ha qualcosa da nascondere?», chiedo.
«Cerco di non debordare dal ruolo che svolgo. So che devo lavorare molto e dichiarare poco», dice.
«Chi glielo ha detto?».
«I portavoce del partito sono altri. Io ho un compito organizzativo. Entro alle nove di mattina ed esco alle 11 di sera. Se non faccio questo, la macchina si ferma», dice Crimi con qualche inflessione messinese anche se da decenni vive a Roma.
«È tesoriere di Fi in base a particolari doti contabili?», chiedo.
«Lo sono diventato per un’occasione che mai avrei voluto accadesse: ho sostituito Giovannino Dell’Elce dopo il terribile incidente di elicottero e la lunga degenza».
«Tesoriere è un mestiere pericoloso....», dico.
«Non faccio dello spirito su queste cose», reagisce.
«... è pericoloso, come Tangentopoli insegna», continuo.
«Lo so. Ma Berlusconi mi ha indicato e gratificato per la fiducia. E io non ho pensato se fosse pericoloso o no», dice petto in fuori e aggiunge: «Ho aziende mie e indipendenza economica. Posso lasciare la politica quando voglio. Quel che faccio, è per spirito di servizio. Berlusconi ha chiesto, io obbedisco».
«Ha mai avuto grane giudiziarie?», chiedo.
«Tolta qualche malignità giornalistica, mai avuto vicende tribunalizie», dice.
«Lei è imprenditore farmaceutico. Altro settore a rischio».
«Tradizione familiare. Mio padre era presidente dell’Ordine dei farmacisti di Messina. Anche mio fratello è farmacista».
«Dove posso trovarla dietro il bancone?», chiedo.
«Ho la farmacia di piazza Bologna a Roma. Dovrebbe conoscerla, ne hanno parlato i giornali».
«Avvelenò qualcuno?», mi informo.
«Ho prodotto galenicamente la somatostatina per la cura Di Bella. La gente vendeva casa pur di procurarsi le dosi che le case farmaceutiche distribuivano a 500mila lire la fiala. Da deputato, ho chiesto alle industrie di abbassare i prezzi e quelle hanno fatto lo gnorri. Allora, da farmacista, mi sono organizzato in tre mesi per produrre somotostatina a 24mila lire la confezione», dice orgoglioso.
«Possiede anche i laboratori farmaceutici Krymi, banale americanizzazione del suo cognome».
«L’abate Krymi è un mio avo. È un nome di origine greca. Ho due laboratori che producono, tra l’altro, il notissimo acido glicolico».
«Mai sentito».
«Qualunque donna lo conosce: serve a rendere più compatta la pelle del viso», dice Krymi accarezzandosi la faccia rasata ma da cui già spunta a metà pomeriggio una incontenibile barbetta nera.
«Se fa il tesoriere come fa i suoi affari, Fi è in una botte di ferro. Quanto costa la macchina del partito?», chiedo.
«Non tanto. Abbiamo un struttura snella: 60 dipendenti e 50 contrattisti. Le strutture periferiche si finanziano col tesseramento: 10 milioni di euro. Altrettanti, costa la sede centrale. Spendiamo invece parecchio per la propaganda elettorale. Ma lì, c’è il finanziamento pubblico».
«Basta per ripianare le spese?».
«No. Ma è una buona legge e ha ridotto il debito pregresso. Quando ho preso l’incarico, Fi aveva debiti per 300 miliardi di lire. Oggi, ne ha 200», dice.
«Non sono bruscolini. Ma tanto c’è il Cav che garantisce personalmente con le banche».
«Mai avrei fatto il tesoriere se non ci fosse stato lui. Me lo avesse chiesto un altro, non avrei certo accettato. Sarebbe stato un pessimo servizio verso i miei figli», dice e intenerito mi allunga la foto incorniciata dei marmocchi. «Sono i miei tre gemelli e questa è mia moglie», dice.
«Bella signora lei, graziosi pargoli loro. Tre gemelli sono un record paragonabile alla somatostatina a basso prezzo», mi complimento.
«Tutto in un colpo solo e in sette mesi. Gravidanza difficile. In clinica, c’è stato un momento in cui mi sono chiesto: riuscirò a portarli a casa tutti e quattro? Uno dei gemelli pesava un chilo e mezzo. Me lo hanno salvato al Bambin Gesù», dice con effusione meridionale.
«Bel vantaggio avere un nababbo per presidente. L’opposizione, che non ce l’ha, ha più difficoltà per i soldi», dico.
«Lo svantaggiato è Berlusconi. La par condicio lo blocca. Nonostante i mezzi, non riesce a comunicare il suo pensiero».
«In che senso?».
«Uno slogan va bene per l’opposizione, ma chi è al governo deve spiegare ciò che ha fatto e non basta un manifesto elettorale».
«I fatti dovrebbero parlare da sé».
«Gli effetti dei fatti si vedono dopo quattro anni. Intanto, un Pecoraro Scanio che conta un’inezia, ha lo stesso spazio del Cav col 30 per cento dei voti. Lui dice “a” e ne ha contro 18 che dicono “aaaaaaa”», si scalda il tesoriere. Ormai è a suo agio, anche se continua a chiedere se sono seduto comodo o voglio un caffè.
Cos’era prima di essere iscritto a Fi?
«Votavo Dc».
Folgorato dal Cav?
«Sì. Nel ’94, mi sono trovato in un mese catapultato in Parlamento. Ho sentito di partecipare a un grande progetto per cambiare l’Italia e di farlo con una persona concreta che realizza sempre gli obiettivi. Mi sono entusiasmato».
A sua scienza, qual è l’obiettivo del Cav?
«Fare dell’Italia il primo Paese d’Europa. Non è il tipo che punta all’otto, vuole la lode».
Vi accomuna il fatto di essere imprenditori?
«È una molla. Poi dopo tanti anni ho un profondo affetto, ricambiato. Lui ti fa sentire importante, non uno qualsiasi».
Cosa pensa del Cav?
«Se ha letto il libro Berlusconi ti odio, avrà visto migliaia di dichiarazioni contro la persona. Lui non ne ha mai fatta una. Pensa positivo. Non vuole vincere mettendo una stecca nelle ruote altrui, ma facendo meglio. È un vincente e riuscirà nel sogno di cambiare l’Italia».
E lei in tutto questo?
«Sono orgoglioso di correre con lui, nel ruolo che vorrà assegnarmi».
Come premier è stato inferiore alle aspettative?
«Guardi la foto sul muro: Berlusconi al centro che unisce le mani di Bush e Putin. Ha dato all’Italia un prestigio che non aveva, creando un rapporto personale coi grandi leader. Oggi non ci sono imprenditori italiani che non siano accolti all’estero con simpatia».
Sono proprio i Montezemoli a fare le scarpe al Cav.
«Quali? Quattro presidenti di banche che hanno platealmente votato per Prodi alle primarie. Guardi invece gli imprenditori piccoli e medi che non campano di Stato e tremano all’idea della sinistra che vuole la patrimoniale, le 35 ore e l’art. 18 dello Statuto esteso alla piccola impresa».
Fi è un partito evanescente. Bondi e Cicchitto sono da archiviare?
«Sono due grandi intellettuali. Ma la notizia è che, da subito, il presidente è alla testa di Fi: il “motore azzurro” per le elezioni è avviato».
Neppure siete stati capaci di scegliere gli uomini. Nella Pa, l’80 per cento della dirigenza è di sinistra.
«Il presidente lo ripete sempre: non abbiamo voluto far di Palazzo Chigi una merchant bank, né occupare lo Stato. Solo persone capaci, quale che sia il colore».
All’Economia è stato messo Siniscalco, uomo di Amato e D’Alema.
«Doveva rappresentare la continuità con Tremonti di cui era il direttore generale. Certo, dopo le dimissioni date in quel modo, il giudizio è da rivedere».
Perché non si è mai pensato a Renato Brunetta?
«Preparatissimo, geniale e mio grande amico. Ma per un ministero di quel peso, bisogna valutare con gli alleati e Brunetta, forse, è troppo fumantino».
Dopo le primarie, Prodi è certamente il leader della sinistra. Invece, l’ultima conferma del Cav risale al 2001.
«Sbaglia. I risultati delle Europee 2004, hanno confermato che nella Cdl il primo partito è Fi, di cui Berlusconi è il capo. Tanto che, chi ha detto il contrario, oggi non è più segretario del suo partito».
Si sente sollevato dalle dimissioni di Follini?
«Se si riduce la litigiosità, la Cdl può vincere. Senza Follini, il tasso cala. La sua era una posizione molto marginale nell’Udc».
Come finirà nel 2006?
«Vinceremo le elezioni. Alle opposizioni dò un consiglio: non sottovalutate Berlusconi».
Per il 2006, la Cdl deve aumentare gli alleati. Dove trovarli?
«La sinistra ha tre punti di vantaggio. Come hanno già fatto loro, dobbiamo chiamare tutti a raccolta, la Mussolini, Rotondi, Stefania Craxi e il dissidente radicale Della Vedova».
Non bastano.
«Appena comincerà a fare programmi, la sinistra scoppierà.

Gli indecisi torneranno a votare Fi e recupereremo i tre punti».
Pensa a qualcuno in particolare?
«Mastella dimostra di stare male a sinistra. In fondo, ha cominciato con noi. Torna a casa, Clemente».
Se vince Prodi, che si aspetta?
«Potrà solo fare un gran pasticcio».

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