L’inarrestabile declino del Pd

di Gianstefano Frigerio*
La crisi del Pd non incomincia con Veltroni.
Certo con lui si aggrava, ma in verità la sinistra non riesce a mettersi in sintonia con l’Italia di adesso perché è ossificata nel dogmatismo ideologico, perché non ha rinnovato i propri strumenti interpretativi della realtà, perché non ha esorcizzato tutti i fantasmi della propria storia. E proprio nel mezzo della tempesta della crisi della globalizzazione, non riesce a essere un punto di riferimento costruttivo per un elettorato angosciato dalle tensioni sociali; che è sottoposto perciò a spinte erosive, a tentazioni di disimpegno e di radicalizzazione.
Ma questo diffuso impotente malcontento, questo sbandamento privo di sbocco politico, è un rischio per il Paese. Dopo la caduta di Veltroni la nomenclatura è riuscita a sopravvivere a se stessa. Franceschini è l’agnello sacrificale di questo corrusco declino; ci metterà passione, lealtà, molta retorica, cercherà di trasferire il lessico familiare («la lunga notte del ’43») nella attuale simbologia della politica. Accentuerà la deriva dipietrista, l’antiberlusconismo, la mobilitazione retorica. Ma sarà tutto inutile.
Certo è che la crisi inarrestabile del Pd (che sui grandi temi etici rischia già ora la scissione) liquida d’un sol colpo la illuministica illusione del bipartitismo e indebolisce fortemente anche il disegno bipolare. La prospettiva più realistica è che si rafforzi il Centro di Casini e che riprenda fiato la Sinistra Radicale.

In questo scenario politico che si sovrappone a un panorama sociale traversato da profonde tensioni e da vaste paure, diventa più ardua l’azione del governo, proprio perché privo di una opposizione forte e radicata nel Paese.
*Membro dell’Ufficio politico del Ppe

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