L’INDECISIONE Il premier non sceglie, diviso fra l’intransigenza di Sarkò e gli eurobond del rivale

RomaMontozy o Montande? Sì, insomma: Monti fa il tifo per Sarkozy o per Hollande? Per entrambi e nessuno: Monti in realtà parteggia per Bruxelles. Il premier spera che la vittoria vada a chi garantisce meglio la casa di cui è figlio: le istituzioni europee. Certo, il presidente del Consiglio osserva la partita che si sta giocando in Francia con qualche timore. Un primo danno già c’è. L’incertezza sull’esito elettorale d’Oltralpe non piace ai mercati: borse a picco e spread che schizza fino a quota 412. Orrore. Più il differenziale con i titoli di Stato tedeschi aumenta, più servono quattrini per finanziare il debito. Soldi non ce ne sono più, ce ne saranno ancor meno perché siamo in recessione, e ventilare una nuova manovra sarebbe devastante. Il Professore cerca di tenere i nervi saldi e attende i ballottaggi del 6 maggio con qualche apprensione.
Certo, se vince il socialista François Hollande, Monti sa che troverà un forte alleato sul versante della battaglia per la crescita. Avrà una solida spalla per cercare di scalfire il muro rigorista della Merkel e per mettere sul tavolo la carta fondamentale degli eurobonds. Non solo: anche il ruolo della Bce potrebbe cambiare. Sul capitolo firewall, ossia le misure per scongiurare il contagio degli attacchi ai debiti sovrani, Hollande garantirebbe un appoggio maggiore. Per il candidato socialista la Bce dovrebbe diventare un prestatore di ultima istanza, sul modello della Fed americana. In pratica l’Europa avrebbe quel bazooka invocato da molti ma su cui ha sempre pesato il niet della cancelliera di ferro. Ma Hollande ha un rovescio della medaglia. Il candidato di sinistra ha già detto che vuole mettere in discussione il fiscal compact, ossia le rigide regole sul pareggio di bilancio, fortissimamente volute dalla Merkel e non osteggiate da Monti. E questo preoccupa il premier italiano, angustiato soprattutto per quanto accaduto in Olanda. Il premier Mark Rutte ha infatti presentato le dimissioni perché la sua maggioranza è venuta meno proprio sulle misure di risanamento dei conti pubblici. Insomma, una bella crepa sulle rigoristiche politiche di bilancio della Ue. E se Hollande si aggiungesse alla lista di chi vuol stracciare il fiscal compact?
Buttarsi quindi su Sarkozy? Il quale è meno temerario nell’affossare la politica del rigore, tanto da aver guadagnato l’appoggio esplicito di Berlino. Ma il segnale che deve fare di più per lo sviluppo è arrivato forte e chiaro. Bene così. Ma per essere rieletto il candidato della destra è costretto a rincorrere l’elettorato di quella estrema. Il popolo di Marine Le Pen è però euroscettico e nazionalista. E il Professore condivide l’appello partito proprio da Bruxelles: «La crisi ha creato terreno fertile per i partiti populisti - ha detto il portavoce della Commissione Ue -. Bisogna agire insieme: serve più Europa e non meno».
Intanto sul fronte interno arriva un altro schiaffo dalla Corte dei conti e dal suo presidente, Luigi Giampaolino: «Il pericolo di un corto circuito rigore-crescita non è dissipato nell’impianto del Documento di economia e finanza 2012-2015», ha detto il magistrato contabile. E poi i tempi per raggiungere il pareggio di bilancio sono troppo brevi: «La ristrettezza dei margini temporali, imposti dalle intese europee, complica la realizzabilità di una strategia di politica economica nella quale si compongano le esigenze di riequilibrio del bilancio con quelle della ripresa economica».

Dati alla mano, «prendendo a riferimento il 2013, l’effetto recessivo indotto dagli interventi correttivi dissolverebbe circa la metà dei 75 miliardi di correzione netta attribuiti alla manovra di riequilibrio». Quindi, è allarme tasse: «La pressione fiscale salirà dal 42,5 per cento del 2011 al oltre il 45 per cento per l’intero triennio successivo».

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