Alla fine gli indiani hanno messo le mani sui marò e sul comandante della petroliera italiana Enrica Lexie accusati di aver ucciso due pescatori. I militari del reggimento San Marco in servizio antipirateria, pur ribadendo di aver sparato solo dei colpi di avvertimento a un’imbarcazione con cinque uomini armati a bordo, senza colpirla, non sono stati creduti. E l’impressione è che da parte indiana la condanna sia già scritta, alla faccia del diritto internazionale. L’arrivo a Delhi di una delegazione governativa italiana per risolvere il caso, per ora, non è servito a nulla. Gli indiani ci hanno praticamente presi a pesci in faccia, con i media e le autorità locali dello Stato del Kerala, dove sono stati sepolti i pescatori, che sembrano gettare benzina sul fuoco anche per motivi politici.
Il colpo di scena è scattato ieri nel porto di Kochi, India sud occidentale, dove è trattenuta da quattro giorni la petroliera Enrica Lexie. A bordo c’erano undici italiani, compresi sei fanti di marina del nucleo di protezione antipirateria che il 15 febbraio hanno sventato un tentativo di abbordaggio. Le autorità locali li accusano di aver ammazzato due pescatori, ma la storia è piena di falle e zone d’ombra. L’altroieri la polizia di Kochi aveva addirittura dichiarato una specie di ultimatum: i marò dovevano consegnarsi l’indomani entro le otto del mattino. E ieri poco dopo la scadenza la polizia è salita a bordo e due marò sono scesi a terra su suggerimento della diplomazia italiana. Una scelta che potrebbe trasformarsi in un errore madornale.
Il capo di prima classe, Massimiliano Latorre, 45 anni di Taranto responsabile del nucleo antipirateria e il sergente Salvatore Girone sono stati scortati al circolo ufficiali della marina indiana. I nostri marò in uniforme mimetica e basco con lo stemma del reggimento San Marco erano attorniati da ufficiali indiani e filmati in diretta tv. Assieme a loro è stato fatto scendere a terra il comandante della petroliera, Umberto Vitelli, per venir interrogato. Anche se gli italiani erano scortati dal nostro personale diplomatico e formalmente non si trovano in galera, ma in una specie di guest house, sono praticamente agli arresti. Nella serata di ieri la stampa indiana sosteneva che fossero stati fermati anche gli altri fucilieri, ma la Marina militare ha smentito.Gli italiani trattenuti dovrebbero venir ascoltati davanti a un tribunale nelle prossime ore, ma oggi in India è festa religiosa. «Signori e signori vi mando un abbraccio... mi assento per qualche ora o forse per qualche giorno, alla prossima!!!». È l’ultimo post, scritto dal capo Latorre sul suo profilo Facebook l’11 febbraio, prima di imbarcarsi per il servizio anti pirateria.
La Farnesina ha parlato di «atti unilaterali da parte delle autorità di polizia» del Kerala e ribadito l’immunità dei marò secondo le leggi internazionali. Infatti alla delegazione italiana arrivata a Delhi per trattare «pacificamente» il caso con il governo indiano è stata riservata una figuraccia. Non era servita a molto la telefonata di sabato fra il ministro degli Esteri Giulio Terzi e il suo collega indiano S. M. Krishna. E della situazione definita «non tranquillizzante» dal ministro della Giustizia, Paola Severino, è stato informato il premier, Mario Monti.
Le autorità dello Stato del Kerala, dove è trattenuta la petroliera, gettano benzina sul fuoco grazie ai media. Il capo del governo locale, Oommen Chandy, ha detto che «siamo di fronte a un caso chiaro di crudele assassinio. Non permetteremo ai responsabili di andarsene». Il Ministro della Marina del Kerala, G.K. Vasant, ha già scritto la condanna sostenendo che «uomini armati italiani hanno sparato contro pescatori indiani».
Pdl e Lega appoggiano l’azione del governo, alle prese con la sua prima grana diplomatica, ma ribadiscono che i marò non possono venir arrestati. A Roma, però, sembra che si stia annaspando in bizantinismi diplomatici.
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