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L’indiano: «Sono loro» Ma il branco di Nettuno ora nega la violenza All’inizio uno dei tre ha fatto mezze ammissioni In procura, con il legale, si è chiuso nel silenzio

Stefano Vladovich

NettunoSeconda notte in cella per i tre «balordi» di Nettuno. In attesa dell’interrogatorio di garanzia, in calendario nelle prossime ore, Navte Singh, il clochard indiano di 36 anni arso vivo alla stazione, non ha dubbi. «Sono loro, me li ricordo bene», dice dal letto d’ospedale indicando le loro foto in mezzo a decine di altre mostrate dai carabinieri. Elemento chiave, questo di ieri, per inchiodare i presunti responsabili. Fra mezze ammissioni («Se volevamo divertire un po’, non lo volevamo certo ammazza’») fatte appena rintracciati e condotti in caserma, e le successive dichiarazioni messe nero su bianco alle presenza dei loro avvocati in cui invece non ammettono nulla, si aggrava la posizione di S.F., 16 anni, che alcuni dei ragazzi che si incontrano alla stazione di Nettuno ricordano come «Bonzo», G.C., 19 anni, e F.B., 29 anni, alla guida della Renault Twingo fermata pochi minuti prima del fattaccio. «Non ha confessato nessuno - precisa il maggiore Emanuele Gaeta, comandante della compagnia Anzio -, anzi hanno negato categoricamente ogni responsabilità. Solo uno dei due maggiorenni ha detto alcune cose rispondendo alle nostre domande. Sulla base anche di questi dati abbiamo effettuato il fermo». Cercando di crearsi un alibi, in particolare il 19enne sarebbe caduto più volte in contraddizione. Tendendo ad addossare agli altri fermati le responsabilità. Secondo il suo legale, Francesco Scotto D’Apollonia, il ragazzo «sta realizzando ora quel che è successo», è «molto scosso» e «certamente non si è reso conto di quel che stava accadendo». Quanto basta agli inquirenti, unendo riscontri oggettivi trovati sul posto, per convincersi che a cospargere di vernice, benzina e accendere il fuoco sui vestiti di Navte sarebbero stati loro tre. Tre personaggi noti ai residenti dell’antico borgo dei pescatori della cittadina. «Teste calde» famose per le scorribande notturne all’uscita dei locali che movimentano il sabato sera il lungomare e le piazzette medievali. Bonzo, in particolare, lo conoscono tutti gli abitanti del comprensorio dove vive assieme alla madre, al patrigno tunisino e alla sorellastra di 4 anni. Basso e tarchiato, «scorrazza tutto il giorno in sella a un motorino - raccontano al centro commerciale di Colle Romito, a Tor San Lorenzo Mare -. Un demonio, ma non possiamo credere che sia arrivato a tanto». Sua madre ora dice che «merita una punizione», ma è convinta che «si è fatto trasportare, perché lui è piccolo, ha solo 16 anni. Noi non siamo razzisti, non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, mio figlio non è tipo da fare queste cose, ha pure il papà tunisino...». Di certo i tre fermati sabato notte si erano fatti notare, girando per le strade di Nettuno. Più volte le gazzelle dei carabinieri avevano incrociato quella Twingo nera, il più giovane avrebbe anche salutato uno dei militari che conosceva di vista, e alla fine il gruppo era stato anche fermato e controllato da una pattuglia dell’Arma, solo 40 minuti prima della brutale aggressione. Su di giri sì, ma non abbastanza per essere portati in caserma e sottoposti al controllo del tasso alcolico. Ma la notte brava era solo all’inizio. Secondo una ricostruzione verosimile dell’accaduto il gruppetto di balordi dopo aver bevuto ancora, avrebbe deciso di rompere le scatole a Peppe, al secolo Giuseppe Ciavatta. Un barbone del posto che da anni dorme sulle panchine del terminal ferroviario. Da qualche giorno a fargli compagnia, però, c’è Navte. L’indiano ha da poco perduto il posto di lavoro e da due giorni anche la branda all’ostello della Caritas. Per un incredibile scherzo del destino alle 4 di domenica c’è solo lui. Peppe è andato a sgranchirsi le gambe un po’ più in là. E così i tre aggressori si sarebbero avvicinati all’indiano, spruzzandogli sul volto della vernice spray. L’uomo, svegliato così brutalmente, avrebbe reagito in malo modo, mandandoli a quel paese e riempien. Così i tre avrebbero deciso di dare una lezione a quel «nero». L’idea sarebbe scattata poco dopo, quando l’auto era al distributore self service: «Metti un po’ di benza in quel barattolo», avrebbe detto uno dei presunti responsabili. Che sarebbero poi tornati in stazione, dove Navte era tornato a dormire sulla panchina di travertino accanto alla stanza del capostazione, chiusa di notte. Non ci sono telecamere, lì. Il giovane viene prima colpito alla testa con una bottiglia di birra e poi malmenato, infine gli aggressori lo cospargono di benzina e lo insultano per la reazione di poco prima.

Poi, con un accendino, scatenano l’inferno per il ragazzo indiano.

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