L’inedito Il «fantastico» filologo che diede forma a un mondo incantato e a linguaggi arcani

Chi è abituato ai furori avventurosi e alle gesta belliche del Signore degli Anelli è pregato di astenersi: questo Tolkien non fa per lui. Se invece, al di là della passione per le storie avvincenti, il vecchio professore di Oxford vi ha toccato le corde sottili, quelle che animano i sentimenti più delicati e gli umori più profondi, allora non potete perdere la raccolta di saggi inediti di J.R.R. Tolkien La trasmissione del pensiero e la numerazione degli elfi (Marietti) dedicati a un argomento solo apparentemente arido: il linguaggio e la comunicazione degli Elfi.
Come la folta schiera di lettori del Signore degli Anelli sa bene, gli Elfi sono le creature nobili del cosmo immaginato da Tolkien, quelle più vicine a Ilùvatar, come è chiamato Dio nell’idioma quenya, una delle lingue elfiche. Quello che forse non tutti sanno è che l’intera narrazione delle imprese degli hobbit deriva proprio dalla passione dello scrittore per le lingue antiche trasmessagli dalla madre e consolidata dal professor Wright, insigne, pur se autodidatta, filologo. In una lettera a Milton Waldman, della casa editrice Collins, Tolkien spiega come sin da bambino amasse inventare linguaggi immaginari: «Ho cominciato a creare una lingua fantastica non appena ho imparato a scrivere, e non mi sono mai fermato. Ora, come professore di filologia, ho cambiato i miei gusti e migliorato la teoria, ma dietro le mie storie esiste sempre una serie di linguaggi scientificamente dedotti da una serie comune». La scoperta - e non l’invenzione - di un linguaggio arcaico è dunque la porta d’ingresso che lo introduce nell’universo mitico che da più di mezzo secolo fa parte dell’immaginario occidentale. Insomma, come dice il Libro, «In principio era il Verbo» e poi viene creato il mondo, anche se di questo universo Tolkien non è il creatore, ma soltanto il Demiurgo. Anzi, in alcuni casi ne è soltanto lo svelatore che decifra, sotto le mentite spoglie di un narratore terzo, i miti di un mondo antico e ordinato precipitato nel Caos.
In questo mondo magico, anzi «incantato», come direbbe Tolkien, nomina sunt consequentia rerum, ossia ai nomi corrisponde una realtà effettiva, secondo la verità del linguaggio che caratterizza il mondo tradizionale. Ma la lingua, pur essendo la massima espressione umana, non è l’unico mezzo di comunicazione degli Elfi, che, in quanto creature ancora più vicine a Dio degli esseri umani, dispongono anche della facoltà di trasmettere il pensiero.

Curiosamente, l’analisi di tale potere fatta da Tolkien ricorda - e forse non è un caso - quella descritta in un recentissimo best-seller scandinavo, I libri di Luca di Mikkel Birkegaard, dedicato proprio all’arcana e potentissima sapienza custodita nei libri e dalle lingue. Ma questa è un’altra storia.

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