L’inflazione complica i piani della Fed

L’inflazione complica i piani della Fed

da Milano

Non è facile tenere saldo il timone quando due venti soffiano, contemporaneamente, in direzione contraria. Ben Bernanke, il nocchiero della Federal Reserve, dovrà dimostrare di saperlo fare. Oltre a una crescita economica pericolosamente in bilico sull’orlo della recessione, il successore di Greenspan deve ora badare anche alla minaccia inflazionistica. I prezzi sono cresciuti in gennaio dello 0,4%, oltre le attese; quel che più conta, però, è l’andamento su base annua: un più 4,3% che non farebbe dormire il collega della Bce, Jean-Claude Trichet, peraltro preoccupato per gli aumenti salariali strappati dai metalmeccanici tedeschi. La Banca centrale Usa ha infatti alzato le stime sull’inflazione nel 2008 al 2,1-2,4% dall’1,8-2,1% previsto a ottobre, come si legge nelle minute della riunione dello scorso 30 gennaio, ma al tempo stesso ha anche ridotto quelle relative al Pil, destinato a crescere tra l’1,3 e il 2%, mezzo punto percentuale in meno rispetto all’outlook precedente.
Per quanto l’Eurotower miri a contrastare con maggiore fermezza l’inflazione, l’ex professore di Princeton non può girarsi dall’altra parte e far finta di niente. Il surriscaldamento dei prezzi, anche in considerazione dei picchi raggiunti dalle quotazioni del petrolio e dei carburanti, rischia così di complicare i piani della Fed, tesi soprattutto a preservare l’economia da un atterraggio troppo brusco attraverso ripetuti tagli dei tassi. Fino a martedì scorso, la strada sembrava segnata: in marzo, la banca centrale avrebbe messo di nuovo mano alla scure per tagliare di un altro mezzo punto il costo del denaro portandolo al 2,50. Adesso, quelle certezze mostrano qualche incrinatura, puntualmente registrata dall’andamento di ieri dei future sui Fed Fund, che assegnava il 94% di probabilità a un taglio contro il 100% dell’altroieri.
Bernanke si muove sul filo del rasoio, mentre piovono le accuse di chi è convinto che stia trascinando il Paese in una trappola della liquidità e mentre già circola la lista dei possibili candidati alla sua poltrona. Non può dunque sbagliare, pur dovendo giocare una partita tutta sulla difensiva, in cui continuano ad arrivare bordate dal settore dei mutui, dove nell’ultima settimana le richieste di prestiti sono scese di quasi il 23%, la contrazione più forte degli ultimi quattro anni.


Le famiglie americane soffrono, sono indebitate e potrebbero bloccare i consumi, da cui dipendono i due terzi del Pil Usa, nonostante gli sgravi fiscali da 168 miliardi fortemente voluti dall’amministrazione Bush per rilanciare l’economia. Se così fosse, anche un altro taglio dei tassi potrebbe non essere sufficiente per evitare la recessione.

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