L’informazione è un vero «Stillicidio»

Alessandra Pasi gioca sulla scena con parole, musiche e interviste

Matteo Failla

Stillicidio, parola spesso abusata e riportata in ambiti che in realtà non le competono, o addirittura usata in modo del tutto inappropriato: se dovessimo trovarne un corretto utilizzo, certo quanto mai simbolico e di forte impatto, potremmo sicuramente far riferimento allo Stillicidio (della contemporaneità) portato in scena da Alessandra Pasi al Teatro della Cooperativa, dove una riflessione sui nostri tempi prende la vera forma di quello stillicidio mediatico fatto di parole, espressioni, musiche, interviste, dialoghi, giochi che pian piano, goccia a goccia, ma anche in un ripetersi continuo, ci logorano. La Pasi incarna nostalgici, presentatori sopra le righe e vari freaks del nostro mondo mediatico, mentre il maestro (Guido Baldoni) dirige un’orchestra pop, armato di fisarmonica.
Di che stillicidio parliamo?
«Principalmente di quello mediatico - afferma Alessandra Pasi - e di quello dell’informazione. È un continuo riferimento alla nostra contemporaneità. Siamo sottoposti quotidianamente ad uno stillicidio che ci logora o che, peggio ancora, ci rende insensibili rispetto a quello che riceviamo: tutto ci passa sopra e scorre vie. Lo stillicidio però lascia una traccia interna non troppo visibile che ci induce a perdere sensibilità e spunto critico».
Lo spettacolo parte da una ricca raccolta di materiali.
«È vero, abbiamo raccolto moltissimo materiale: fonti ufficiali, documenti, pagine di giornali e di libri. Da questo è uscita una quantità incredibile di parole che si possono leggere così come sono, nude e crude, o che si possono trasformare in dialoghi, interviste, giochi o canzoni. Lo spettacolo è costruito in parte come uno zapping tv, ha cambi rapidi che si susseguono con un registro schizofrenico, ma gode anche di un aspetto più teatrale, quello del cabaret degli anni ’30, sullo stile del varietà e della canzonetta. E poi vi è un terzo aspetto, quello dei due monologhi, uno in apertura ed uno in chiusura. Ma tutti questi aspetti tendono all’omogeinizzazione, trasformandosi così in un unico “Stillicidio”».
C’è possibilità di difesa da tutto questo?
«Mah… per noi è stata la scelta di farci uno spettacolo. Il teatro funge da punto di vista alternativo della realtà, gli attori offrono al pubblico un altro modo di vedere le cose. Certo noi non vogliamo, e non possiamo, dare una verità o un assunto o una teoria, cerchiamo semplicemente di restituire al pubblico quello che viviamo sulla nostra pelle».
Lo spettacolo stordisce come zapping o confonde come stacco pubblicitario?
«La maggior parte del pubblico rimane un po’ stordita, ma affascinata. La pubblicità dal canto suo affascina e attrae, ma confonde. Diciamo che “Stillicidio” lascia entrambe le sensazioni. Le reazioni sono talmente differenti che è impossibile però capire che tipo di effetto abbia: certamente non uno solo».
Ma che tipo di teatro va in scena in “Stillicidio”?
«È una domanda alla quale ho difficoltà a rispondere.

Sicuramente la mia tradizione è quella del Teatro di Ricerca, ma il teatro “Nudoecrudo teatro”, che produce lo spettacolo, è solito mischiare diverse competenze: qualcosa di televisivo, qualcosa di corporale, di musicale, in un gruppo che in parte non è teatrante. Diciamo che è uno spettacolo composito».

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