L’Inghilterra non c’è più. Ma Ferguson festeggia con il cavallo

Sir Alec Ferguson ieri pomeriggio era raggiante. Regalava sorrisi a chiunque. L’eliminazione del suo Manchester? Roba vecchia. A Liverpool aveva appena vinto What Friend, sulle tre miglia ad ostacoli. Aveva battuto il favorito, gli scommettitori stavano festeggiando la vincita, la quota a 2 e mezzo aveva spiazzato tutti, non il proprietario del cavallo, per l’appunto sir Ferguson. Immaginate che cosa potrebbe mai accadere in Italia dinanzi a un caso del genere. Uno viene sbattuto fuori dalla Champions e il giorno appresso va a brindare all’ippodromo.
In Inghilterra capita, capita anche che dopo aver fatto i maramaldi per tre tornei consecutivi, piazzando altrettanti club in semifinale e una finalista in cinque edizioni successive, si ritrovino di colpo fuori dall’Europa, isolati vista la loro dimensione geografica. Ma non è scandalo, non è crisi. Almeno ascoltando le reazioni di chi segue il football inglese da sempre e che aveva previsto il tramonto degli dei. Per un paio di ragioni economiche innanzitutto: la crisi finanziaria che sta intossicando la Premier League e l’incapacità dei nuovi manager ad affrontare il mercato, non quello pubblicitario.
Del resto il campionato sta offrendo buone indicazioni in merito: il Liverpool ha perso dieci partite in trentatré incontri mentre lo scorso anno si era fermato a due sconfitte in tutto il campionato, idem per Arsenal e Chelsea mentre il Manchester United è a sette sconfitte, superando il record negativo del Duemilanove. Asterischi? Non proprio, considerato che Ferguson ha fatto cassa vendendo Cristiano Ronaldo ma non ha potuto trovare l’erede del portoghese. A ciò si aggiunga che nella sfida con i tedeschi («la più dolce delle sconfitte» hanno commentato i bavaresi qualificati) la scelta di impiegare Rooney aveva una ragione fino al 2 a 0 ma la sostituzione dell’attaccante con un difensore, O’Shea, ha denunciato le paure del tecnico scozzese, il quale ha provato ad attaccare Rizzoli, l’arbitro condizionato dal Bayern ma non può più pensare di essere salvato in eterno. Anzi, già si parla di un suo avvicendamento a fine stagione, sempre che i Blazer non mollino anch’essi la proprietà del club come sperano i tifosi del “Maniu”.
Il Liverpool di Benitez ha bisogno di cash, l’Arsenal continua ad andare a Roma e a non vedere il papa ma ha uguali deficit finanziari, il Chelsea no ma è al bivio, dopo il black out imposto dalla Fifa adesso può muoversi, ma contro l’Inter ha rivelato una fragilità clamorosa, di gioco e di personalità. Il fair play finanziario proposto da Michel Platini sembra venire incontro alle esigenze del calcio inglese, lo stesso football che ha osteggiato la politica dell’Uefa. Ora che i conti non tornano e che la Premier League è fuori dal continente, incominciano a capire che i soldi sono importanti ma è più importante il modo di spenderli o di investirli.
La Champions consegna a quattro nazioni diverse le due semifinali, non accadeva dall’anno Duemilaquattro, quando Porto, Deportivo la Coruña, Chelsea e Monaco si giocarono i posti per la finale. Accadde che Josè Mourinho trionfò con il suo Porto. È quello che si augurano gli interisti.

Intanto Fabio Capello è forse l’unico residente sull’isola della regina a essere felice, a parte il cavallaio Ferguson. Da oggi in poi i suoi nazionali potranno pensare soltanto al Sudafrica, Madrid non è roba loro, a Madrid proprio lui, Fabio, ha lasciato il segno.

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