L’intento di Casini è di fare il pendolino

Ora che le ecografie esibite ai congressi dei Ds e Margherita hanno autenticato che il Partito democratico verrà alla luce, la sfida decisiva si trasferisce interamente sul tavolo della riforma elettorale. Perché se le recenti affermazioni di Massimo D’Alema conservano un senso a futura memoria («il Paese non ha bisogno di certa sinistra»), e se la nascita del nuovo soggetto politico deve essere ispirata, per la sua stessa credibilità, con lo sguardo in avanti anziché alle proprie spalle, ciò presuppone la fine dell’attuale bipolarismo. Infatti non avrebbe alcun senso che i partiti riformisti del centrosinistra propongano un’unificazione che innanzitutto vanta come premessa una sfida storico-culturale, per poi ritrovarsi nuovamente a gestire la cosa pubblica in un Governo con i varti Diliberto, i Giordano, i Pecoraro Scanio. Se così fosse non sarebbe cambiato nulla. È dunque la fine del bipolarismo la chiave per le future aspirazioni del Partito democratico se non vuole correre il rischio di restare nelle secche di una terra di nessuno. A tal punto il più grosso regalo che i resti della Cdl potrebbero fargli in tale prospettiva, è una unificazione in un partito unico dei moderati, stante l’indisponibilità che pare irreversibile da parte dell’Udc.

Stante gli sviluppi in corso, proporsi come forza di centro e circoscrivere il proprio sguardo a questi confini, rinnegando il bipolarismo, significa porsi fuori dal centrodestra e ambire a un ruolo di pendolino. Con quello stesso potere di veto e di ricatto che Casini, sempre a parole, dice di voler combattere e che apparterrebbe solo alle ali estreme delle rispettive coalizioni.

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