L’Inter baby fa un altro regalo Il Siena raccoglie e ringrazia

Mancini lancia i giovani, Adriano in tribuna. Al gol di Cruz replica nel finale Gastaldello. Burdisso espulso dopo uno scontro tra Vergassola e Stankovic

Oscar Eleni

da Milano

Daniele Gastaldello, veneto di Camposanpiero, fa l’uomo risciò per trascinare nel quasi comico una partita da spremuta di cipolle che sono anche nobili, buonissime, ma se diventano porracci poi restano sullo stomaco. Il lungo libero del Siena ha colpito di testa, nel 2° minuto di recupero, su un calcio d’angolo battuto dal Guzman che si era guadagnato il premio costringendo Julio Cesar alla parata più difficile di una giornata senza effetti sonori, il pallone per pareggiare la rete di Julio Cruz, unico vero hidalgo interista, dando a questo Siena, che ha accarezzato più spesso dell’avversaria la zona rossa del gol, una gioia genuina dedicata a Luigi De Canio già congedatosi dopo l’amaro dell’ultima domenica contro la Juventus e contro il popolo del Rastrello.
L’Inter resta la diva scalza di sempre, mai bella, però, come Ava Gardner, mai allegra, capace di ubriacare e, magari anche di ubriacarsi in una giornata da dedicare al pubblico giovane portato sulle curve, su tribune dove ieri il divertimento era cercare la battuta ad effetto contro Moggi e Giraudo, dove l’attenzione era tutta dedicata a Parma e Torino, con sospiri, sussurri, bisbigli, risate e nessun divertimento. Prendere nota di questo deserto delle emozioni, cercare di capire se ci si dovrà abituare a dare risposte al quesito se i danni li fanno più gli ultras o quelli che combinano il gioco fra guardie e ladri. Dire tutti e due sembra poco carino, ma vallo a spiegare. Il male è in loro e intorno a loro, stiamo parlando dei commedianti che organizzano, giocano, lo si capisce quando in una partita che non aveva niente da chiedere, o da regalare, i contendenti sono riusciti a farsi fischiare, a farsi ammonire, a farsi espellere, come è capitato a Burdisso dopo lo scontro Vergassola-Stankovic.
Certo la contessa scalza pensava alla sua finale di coppa Italia fra qualche giorno, mentre il Siena aveva in mente soltanto l’adeguata difesa e ricerca delle parole per spiegare perché si trova laggiù in fondo, un sedile sopra la retrocessione, perché in tutta la stagione si è mangiata spesso belle giocate, occasioni da gol che ieri sono capitate a Chiesa per due volte, a Paro.
L’Inter che vestiva giovane ha lasciato Adriano in tribuna, fermato da problemi ad un polpaccio dispettoso. Roberto Mancini gioca a fare il gattino ironico, se la prende col caldo, mastica un altro pareggio che sa di gomma bruciata, ammette che la gioventù è bella da guardare se ha l’energia di Maa Boumsong, camerunense del 1987 che ha fatto bene il centrale, ha tirato forte da lontano, ha dato a Cruz la palla per il 14° gol stagionale del Giardiniere, facendoci distrarre un po’, ma poi non accetta di passare per omertoso sul caso del giorno, su questa porcheria che piove dal cielo e spara diritto: «Da vergognarsi, da nascondersi, altro che aspettare gli accertamenti».
Basterebbe questo per farci dimenticare che lo sbadiglio libero è stato autorizzato dalla partituccia di Cesar, dalla partitaccia dell’Oba Oba Martins che ha perduto davvero l’età dell’innocenza e non sa più dove si trova e cosa sta facendo, con l’occhio perduto di chi si sente vittima senza sapere indicare chi sono i colpevoli del suo volo oltre questa siepe. Mettiamoci anche la mossa storica del Mancio che al 38° della ripresa ha fatto esordire Goran Slavkovski, svedese di origini macedoni cresciuto a Malmoe, punta di 191 centimetri, debuttante in serie A all’età di 17 anni e 29 giorni, il più giovane interista ad entrare in campo, battendo di un mese lo zio Bergomi che ora potrà dire al ragazzo di Skravinge che l’almanacco porterà il suo nome, ma poi servirà anche una bella carriera dopo e ieri, per la verità, non gli è capitato di toccare neppure un pallone.

Pareggio senza volersi troppo bene, senza amare chi stava a guardare, prendendo le scuse che servono, come capita nell’inverno, come succede quando la ricerca delle motivazioni è un grande mistero. La storia di un professionismo anemico dove si può peccare in tanti modi.

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