Come spesso succede, una riflessione di Massimiliano Lussana dà lo spunto per una discussione, una di quelle dalle quali si esce più consapevoli e magari un po' più saggi.
Sostiene Lussana che, sul caso Brancher, io avevo perfettamente ragione ma non avrei dovuto dissentire in quanto senatore solo perché nominato da Berlusconi, visto il sistema elettorale che garantisce in partenza l'elezione. E poi, aggiunge Lussana, perché anch'io ho votato il legittimo impedimento. Il secondo motivo è figlio del primo: ho votato il legittimo impedimento turandomi il naso, alla Montanelli, proprio perché «nominato»: mi ero già dissociato sul processo breve, e fui criticato aspramente perché «avevo perfettamente ragione, ma eccetera». Il motivo è dunque uno: i parlamentari, nominati, devono votare come dice il capo. Anche se la loro diversa opinione è giusta. E persino quando poi il capo ci ripensa, come su Brancher.
Corollario: il parlamento non serve. Basterebbero i voti dei capi partito, ponderati per il numero dei parlamentari che avrebbero dovuto eleggere. Somiglia a quanto sentii dire in una recente riunione del Pdl: «I parlamentari possono esprimersi liberamente, tranne ovviamente che su questioni nazionali». Ma come?, protestai io. Certo, perché sono nominati, mi fu risposto.
Dunque, non si può dissentire neppure avendo ragione. Prevale la linea del capo, anche se è contraria la maggioranza o persino la totalità dei parlamentari (nominati).
Se è così questa legge elettorale può portare ad approvare provvedimenti sbagliati. Ma allora la legge è sbagliata. Nessuna lealtà politica o riconoscenza personale - entrambe ben presenti nel mio animo - possono giustificare la rinuncia a far valere le proprie idee. (...)