L’intervento Lo scudo? Sì, ma... State attenti alla falla nascosta

«È nei dettagli che il diavolo si nasconde» diceva un proverbio antico e mai come sui provvedimenti economici delle ultime stagioni questa massima è verissima. Torniamo allo scudo fiscale di cui abbiamo già parlato l’altro giorno. L’emendamento dell’onorevole Chiara Moroni (nome che fu vent’anni fa il tragico simbolo della libertà della politica e della giustizia eversiva) recita infatti che sui capitali posseduti all’estero nel quinquennio 2003-2008 e rimpatriati o regolarizzati nei prossimi mesi si applica un’imposta straordinaria del 50% degli interessi annualmente maturati su di un rendimento lordo presunto del 2% annuo. Il che significa, in parole povere, un 1% per ogni anno ed essendo il periodo di riferimento quinquennale l’imposta finale sui capitali rientrati sarà del 5%. Ed infatti tutti i grandi mezzi di informazione hanno titolato «un’imposta del 5% sui capitali rientrati». Dal momento che nel 2001 l’aliquota era del 2,5% è stato detto che, se lo scudo andava fatto, bisognava almeno raddoppiare l’imposta straordinaria e quindi portarla al 5%. Questo dunque il quadro che in larghissima parte giornali e televisioni pubbliche e private ci hanno offerto. Ed invece non è vero niente. Seguiteci e comprenderete.
Mentre nel vecchio scudo fiscale l’imposta del 2,5% si pagava sul capitale detenuto all’estero ad una certa data e rimpatriato, la nuova norma invece, quella che doveva essere più cattiva, per intenderci, arriva al 5% facendo però un ragionamento annuo. Tu che hai i capitali all’estero se li rimpatri o li regolarizzi pagherai l’1% l’anno raggiungendo così il 5% per tutto il quinquennio di riferimento. Ma attenti! Se i capitali li hai esportati solo nel 2008 pagherai l’1% sulla somma rimpatriata, se li hai esportati nel 2007 pagherai il 2% per il biennio 2007-2008, e così via. Per pagare il 5%, dunque, tutti avrebbero dovuto esportare clandestinamente i capitali in questione il primo giorno del primo anno del periodo di riferimento (2004-2008).
Ma chi dichiara quando i capitali sono stati esportati? Il contribuente naturalmente con una propria autocertificazione. E chi controlla la veridicità di questa dichiarazione? Nessuno, né l’intermediario, né il fisco perché tutto è anonimo. La privacy è privacy. Insomma alla fine della giostra far rientrare i capitali detenuti all’estero o regolarizzarli costerà l’1% o, se gli esportatori clandestini avranno un sussulto di bontà costerà l’1,5% se dichiareranno che l’esportazione clandestina è avvenuta 18 mesi prima. Se si pensa che su quelle somme evase il fisco avrebbe prelevato il 40% come lo fa a tutti i cittadini lo sconcerto diventa davvero grande e sorge perentorio un dubbio di costituzionalità. Se la norma dunque è questa allora avremo un buco nella previsione del gettito? Manco a dirlo perché la nobiltà contabile dei presentatori dell’emendamento ha calcolato un gettito simbolico di un euro che alla fine sarà molto di più potendo così celebrare un nuovo successo. Come si vede, dunque, il diavolo è furbo e intelligente e devia verso il male anche ciò che era stato pensato a fin di bene.

Speriamo che quella che fu in un tempo lontano il terrore dei governi, la commissione Bilancio della Camera, sappia correggere il tutto riscoprendo autorevolezza e dignità perché in politica tutto si può fare ma al Parlamento lo si deve spiegare con lealtà.
ilgeronimo@tiscali.it

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