L’INTERVISTA 4 GLENN HUGHES

Riecco l’hard rock, quel sound epilettico che gronda blues e annulla la melodia coi suoi riff epilettici; quel sound che è un biberon per gruppi come Nirvana e Guns N’Roses, rinasce nella sua versione originale grazie a Glenn Hughes, detto «la voce del rock», ex bassista dei Deep Purple e di una valanga di gruppi con cui ha collezionato 100 milioni di album venduti. A 58 anni, quando la gente normale pensa alla pensione, lui si rituffa on the road con una superband che allinea Joe Bonamassa alla chitarra, Jason Bonham (emerito-batterista erede del compianto John dei Led Zeppelin) e l’ex Dream Theater Derek Sherinian alle tastiere. Hughes fa sul serio e, alla guida dei Black Country Communion - questo il nome di battaglia - punta alla restaurazione del rock duro con una tournée e con l’album Black Country in uscita il 20 settembre.
Allora mr Hughes operazione nostalgia?
«Al contrario. Mi sembra che oggi si siano perse le radici del rock, che vengono dal blues ma che sono esplose negli anni Settanta. In giro c’è tanto rock senza arte né parte. Il nostro è un gran disco, ve ne accorgerete. Bonamassa è l’erede di B.B. King e Jimmy Page e così cattivo non lo avete mai sentito, Bonham ci dà dentro più del padre - e pensare che quando io incidevo Burn con i Purple lui non era ancora nato - e Sherinian è un pittore di suoni. Riportiamo in auge il vero rock blues inglese, saremo un incrocio tra Who e Led Zeppelin del 2000.
Ma lei viene dai Deep Purple.
«Con loro ho vissuto tre anni indimenticabili in cui si viveva davvero all’insegna di sesso e r’n’r».
Ma purtroppo c’era anche la droga.
«Quella maledetta roba è stata la causa della mia crisi umana e creativa, ma poi ho ritrovato la strada. Non sarei comunque rimasto coi Deep Purple a godermi la gloria senza rinnovarmi».
Polemico.
«No, li amo oggi come allora. Mi vanto di aver militato in unodei gruppi che ha fatto la storia ma la vita va avanti».
Nei Black Sabbath ha avuto parecchi problemi.
«Loro erano i più dark di tutti. Hanno inventato il rock gotico. Ho avuto problemi col loro manager; siamo arrivati alle mani, mi ha colpito alla gola e ho rischiato di perdere la voce, una storia da dimenticare».
Invece alla sua età ha un registro ancora aggressivo.
«Perché la voce nel rock non va educata ma viene dall’anima, dal sudore e dal sangue».
Una filosofia vecchi tempi.
«Sarà anche vecchi tempi ma è ancora la migliore regola. Dai vecchi tempi arrivano ancora molti insegnamenti da seguire: noi suoniamo ancora come allora, chitarra, microfono, amplificatore, niente diavolerie elettroniche e tutto in presa diretta. Questo cd l’abbiamo inciso in pochi giorni; se modernità vuol dire stare un anno in studio d’incisione come fanno tanti gruppi blasonati di oggi, ve la lascio tutta».
Come avete scelto il nome?
«All’origine era Black Country, la zona delle West Midlands dove siamo cresciuti io, Robert Plant, i Bonham. È un omaggio alle nostre radici.

Poi è saltato fuori il solito gruppo su Internet che ha chiesto un sacco di soldi perchè diceva di avere il copyright sul nome. Pensavano di spennarmi, ma io ho aggiunto Communion, che fa tanto hippie, e ora sono pronto alla sfida. I brani sono ottimi e, alla faccia della scaramanzia, sto già preparando il secondo cd».

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