L’INTERVISTA 4 GREGORIO DE FELICE

A che punto è la ripresa? I segnali ci sono, ma rischiano di passare inosservati nella ridda di notizie contrastanti di questo inizio d’anno: la fiammata del petrolio che alimenta la ripresa dell’inflazione e preoccupa l’Agenzia internazionale per l’energia, mentre le bacchettate della Fed all’Europa per il suo debito pubblico troppo elevato fanno vacillare le Borse. «Ma la Fed guarda l’economia con lo specchietto retrovisore», dice Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo.
Dove sbaglia la Fed, a suo avviso?
«La Banca centrale americana, che ha sposato in pieno la politica di Bernanke, inondando il sistema di liquidità, guarda soprattutto al tasso di disoccupazione, che notoriamente si muove in ritardo sul ciclo economico. Invece ignora i segnali positivi attuali, come i consumi natalizi migliori del previsto e il forte pacchetto fiscale varato dal presidente Obama. Ecco perchè dico che guarda all’indietro».
Però attacca il debito pubblico europeo.
«E dimentica quello americano. Che non solo è già altissimo, ma neppure si intravedono misure di politica di bilancio restrittive per il 2011 e il 2012. Se mi permette il paragone calcistico, è una squadra a cinque punte, tutta sbilanciata in attacco, ma a rischio di buchi in difesa».
E non è l’unico allarme. «I prezzi del petrolio sono entrati in una zona pericolosa», titola il Financial Times.
«È quello che ha detto il capo economista dell’Aie, l’Agenzia internazionale per l’energia. Mi sembra però un allarme eccessivo, tenendo conto che l’aumento attuale dei costi del petrolio dipende in buona parte dalla maggiore domanda da parte dei Paesi emergenti».
Quindi lei non è preoccupato dalla crescita dei prezzi?
«Vorrei fare una premessa: avere un’inflazione più vivace in questo momento, in cui la ripresa non è ancora consolidata, è un fenomeno negativo. Prima di tutto, perchè se sale troppo lega le mani alle banche centrali di tutto il mondo, Bce in primis: in secondo luogo, perchè un’inflazione non prevista erode il valore reale dei salari, quindi indebolisce la dinamica dei consumi, e infine perchè se dovesse aumentare in modo stabile spingerebbe in su i tassi d’interesse, cosa molto pericolosa considerando che tutti i governi sono pieni di debito. Detto questo, io credo però che al momento stiamo parlando di una crescita modesta, qualche decimale».
E pensa che rimarrà tale?
«Mi sembra difficile ipotizzare una dinamica forte dei prezzi, quando c’è ancora un mercato del lavoro debole. Le previsioni per il 2011 sono nell’ordine di un aumento dell’inflazione, a livello medio anno su anno, non superiore a pochi decimi di punto: gli Usa passeranno dall’1,6 all’1,7%, l’area euro dall’1,6 all’1,8%, con l’Italia che passerà dall’1,5 all’1,7%, mentre la Cina passerà dal 3,4 al 3,6».
Ma alla fine, la ripresa c’è o non c’è?
«C’è ma è asimmetrica: il 60% della variazione dei consumi riguarda le economie emergenti.

E questo per l’Italia può essere un’occasione da cogliere: siamo il secondo Paese esportatore d’Europa, alle spalle della Germania, ma perchè non coltivare l’ambizione di essere i primi? Si può fare, purchè interveniamo sul nostro tallone d’Achille, la bassa produttività».

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