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L’INTERVISTA 4 JORMA KAUKONEN

I Jefferson Airplane sono stati il manifesto della generazione hippie. Nati nel 1965 e partiti dal folk rock, elaborarono un suono inquieto e uno stile di vita che segnarono Woodstock e dintorni. La voce soave e potente di Grace Slick (uno dei pochi sex symbol dell’epoca) condita ai furori elettrici dei compagni di squadra ha partorito capolavori come l’inno Somebody to Love e album quali Surrealistic Pillow e Crown of Creation. Erano eroi del Walhalla di San Francisco ma un giorno, il chitarrista nomade Jorma Kaukonen (70 anni) e il bassista Jack Casady se ne andarono allontanandosi dalla celebrità e dal colorito mondo underground con il progetto acustico Hot Tuna che, partito nel ’69, prosegue ancora oggi con l’album Steady As She Goes e una valanga di concerti (dal 18 luglio sono in Italia partendo da Genova), ed è diventato anche uno stile di vita.
Kaukonen, ci vuol coraggio per smettere di fare la rockstar.
«Si ma non puoi continuare a suonare musica che non senti più. E a parte i suoni troppo elettrici gli hippie ad un certo punto son diventati un circo imbarazzante. I gruppi veri si asserragliavano in locali come il Carousel Ball Room prima che diventasse il mitico Fillmore West. Insomma la mia strada mi chiamava e aveva due nomi che si riconducevano ad uno».
Cioè?
«Blues e il Reverendo Gary Davis».
Il Reverendo è un personaggio mitico del blues.
«La sua è stata una vera evangelizzazione. Cieco e senza un soldo parlava con saggezza e suonava con una tecnica incredibile. I suoi concerti erano una vera e propria messa».
Quali altri artisti l’hanno influenzata?
«La riscoperta dei bluesmen nei ’60 è stata un vaso di Pandora. Ho scoperto Son House, Skip James. Facevano musica acustica ma se ascoltavi c’era dentro tutto il rock. E i testi erano un pugno nello stomaco».
E la prima volta che ha ascoltato il blues?
«Avevo 13 anni ed era un lp di Big Bill Broonzy, un altro colpo».
Il rock per lei è stato un incidente di percorso.
«No, non dimenticherò mai la creatività dei Jefferson, mi domando come facessimo a mettere insieme tutti quegli stili».
C’è qualcosa di cui ha nostalgia?
«Prima che morisse ho passato una giornata a suonare e cantare con Janis Joplin, solo la mia chitarra e la sua voce. Ricordo ancora i brani e mi spiace di non averli registrati, anche se qualcosa di noi due insieme in giro dovrebbe esserci».
È vero che cominciò la carriera solista perché una sera la Joplin l’ha mollato?
«Lei non arrivò, era un talento enorme e fuori di testa, ma non ricordo se fu quello a spingermi a fare il solista, sono sempre stato uno zingaro della musica e un’anima folk».
Da quando ha lasciato i Jefferson ha cambiato vita: è salutista, ecologista, vive in campagna.


«Sarà per contrasto con tutto quel sesso e droga. Oggi vivo a Darwin, in Ohio al Fur Peace Ranch, dove insegno musica e invito grandi artisti come Tony Rice, Tom Rush, Louisiana Red che tengono concerti come nei campus degli anni Sessanta».

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