Presidente Pierandrea Semeraro, oggi a San Siro col Milan e poi in casa con la Fiorentina. È un bellavvio, non le pare?
«Non voglio essere fatalista nel dire che tanto, prima o poi, dobbiamo incontrarle tutte. Ma forse è meglio così perché le grandi sono ancora in via di assemblaggio e qualche sorpresa potrebbe scapparci. E questo sarà un campionato pieno di sorprese, ne sono convinto».
A cominciare dal suo Lecce?
«Perché no? Noi ce la mettiamo tutta per essere allaltezza della situazione, per salvarci con tranquillità, perché il nostro obiettivo è la salvezza. Però mi rendo anche conto che sarà un campionato difficile soprattutto per le neopromosse, a causa del dislivello degli introiti. Perché tra noi e le altre che si sono salvate cè un dislivello di almeno 7/8 milioni, soldi che pesano. Comunque ci sarà da sudare per tutti quanti e da lottare fino allultimo secondo».
E allora che Lecce vedremo?
«Una squadra aggressiva, a trazione anteriore, una squadra che gioca bene e fa divertire. E con un mister che sa dare la carica giusta».
De Canio confermato, sicuro della scelta?
«Eccome, con lui abbiamo un progetto quinquennale, senza direttore sportivo perché dopo Corvino abbiamo fatto questa scelta. Spazio ai giovani e al settore giovanile, peccato che ad ostacolare queste belle idee ci siano poi i risultati. Perché se non vengono, chi li tiene i tifosi. Lideale sarebbe un mix di risultati e gioventù».
A proposito, la Semeraro dinasty continua e dopo il patriarca Giovanni e suo fratello Rico, la presidenza è toccata a lei, appena 37enne. Perché questo cambio?
«Prima o poi ci si doveva arrivare. Mio padre ha preso il Lecce nel 1994 ma, pur essendo io lultimo arrivato, gli sono sempre stato vicino. E poi è un fatto generazionale perché in questa stagione ci sono presidenti ancora più giovani di me: Andrea Agnelli alla Juve, Ghilardi al Parma, Campedelli al Cesena. Questo è un bel segnale, il calcio si rinnova grazie allentusiasmo e alla passione di noi più giovani».
Però suo padre aveva anche pensato di mollare tutto.
«Più di una volta, ma la sua scelta era stata quella di non far sparire il calcio dal Salento. Noi siamo imprenditori e, come tali, abbiamo fallito perché ogni anno cè una perdita di 3/4 milioni. Abbiamo ricapitalizzato con 8 milioni, ma il progetto vero è: prima i bilanci e poi i risultati sportivi. Ma non è possibile, ecco perché siamo disposti a parlare con chiunque per negoziare la cessione del club».
Da buon presidente, vorrà fare lei la formazione o lascerà carta bianca a De Canio?
«Mio padre era bravo a delegare e io non influenzerò le decisioni del tecnico, ma gli sarò vicino, senza farmi notare».
Sono arrivati tanti stranieri a Lecce.
«E tutti buoni: gli uruguaiani Grossmuller e Olivera, largentino Piatti, il brasiliano Gustavo, il norvegese Reginiussen, tutti elementi che possono fare la differenza. E poi cè anche il figliol prodigo Chevanton, è lui il nostro asso nella manica».
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