L’INTERVISTA CHRISTOPHER CALDWELL

L’immigrazione è «una rivoluzione» che sta cambiando la faccia dell’Europa. Ne è convinto Christopher Caldwell che guarda al fenomeno da fuori. L’autore di Reflections on the Revolution in Europe: Immigration, Islam and the West, pubblicato da poco in inglese, è un giornalista americano, editorialista del Financial Times, del New York Times Magazine e del Weekly Standard. La domanda che si pone è: «Può esserci la stessa Europa con persone diverse?». La risposta del libro è no.
Secondo recenti statistiche, entro il 2050 sarà musulmano il 20% degli abitanti dell’Europa. Cosa sta succedendo?
«I numeri indicano una crescita per tre ragioni: l’immigrazione continua; gli immigrati hanno un numero normale di figli; gli europei - italiani soprattutto - non fanno bambini».
Esiste un Paese europeo modello d’integrazione?
«No. Il problema è simile ovunque in Europa. Certo, ci sono variazioni. In Italia la popolazione di immigrati è diversificata rispetto a quella britannica (in gran parte asiatica). Questa diversità potrebbe rivelarsi un vantaggio per l’Italia, rendendo difficile il consolidarsi di sottoculture».
Come si sta muovendo l’Europa per trovare soluzioni?
«L’Europa sta pianificando troppo oppure troppo poco. L’integrazione degli immigrati in America ebbe luogo senza pianificazioni. Nicolas Sarkozy parla di immigration choisie (immigrazione scelta): persone con un dottorato, non soltanto chi viene a pulire il giardino altrui. Sarebbe meglio avere un’immigrazione formata da persone che vogliono venire. Secondo regole di mercato».
Nel suo libro spiega che non sono soltanto i numeri ad avere un peso ma le diversità culturali...
«Prima di tutto ci sono i numeri uniti all’immediatezza di quest’immigrazione, arrivata tutta d’un colpo. Gli individui non sono assorbiti in modo graduale nella società, continuano a sposarsi tra di loro, a ridare forma alle comunità. L’immigrazione sta cambiando la società in Europa».
Che cosa impedisce all’Europa di creare un melting pot all’americana?
«Il welfare state. I benefici del welfare state europeo sono distribuiti in maniera uguale anche agli immigrati. Questo rende possibile e più facile smettere di lavorare e quindi smettere d’integrarsi. Negli Stati Uniti se non lavori non hai benefici. Secondo le statistiche americane, la maggior parte degli immigrati italiani del XIX e XX secolo sono tornati a casa. Questa è la tendenza dell’immigrazione, ma quando si ha un buon welfare state è difficile andarsene».
Dove sbaglia l’Europa?
«Non si è impegnata a gestire un’immigrazione a lungo termine. Accogliere immigrati significa aprirsi a processi lunghi, dai numeri alti».


È troppo tardi?
«Dipende dal tipo di idea che l’Europa ha di società. L’Europa è già oggi una società permanentemente multietnica. La domanda è: “È troppo tardi per imporre un’idea di appartenenza alla nazione?”. Non penso».

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