L’INTERVISTA ELIO GERMANO

Roma«A Cannes ci vado anche in mutande! Oppure in tuta da operaio», esclama divertito il trentenne Elio Germano, appena saputo che sfilerà sulla Croisette. Da protagonista della drammatica commedia di Daniele Luchetti La nostra vita (dal 14 maggio), unico film tricolore in concorso alla 63esima edizione del Festival di Cannes, il Bob De Niro di Corviale, periferia romana dove l’attore d’origine molisana abita in 40 metri quadri tutti suoi, frigge fin d’ora. Il suo operaio «ambizioso, vitale, disonesto» (così Luchetti), alle prese con un vicino di casa pusher Luca Zingaretti; lasciato vedovo dalla moglie (Isabella Ragonese), con due bambini da tirar su negli orrendi sterri tra Porta di Roma e Bufalotta, colpisce al cuore. Perché per procurare un solido futuro ai propri figli passerà sopra a ogni cosa, sempre più in fondo all’abisso della disonestà quotidiana. Tema attuale, dunque, che farà discutere.
Si parlava di Cannes, dov’è già stato con Mio fratello è figlio unico, sezione Certain Regard. S’aspettava d’andare in concorso?
«Non me l’aspettavo. Cannes, per me, è il festival più importante del mondo e l’unico dove il mercato internazionale funziona».
Che film è La nostra vita?
«È un film che apre tanti squarci sulla nostra esistenza di italiani da non lasciar capire se è commedia o dramma. Sono stato attento, col regista, a non cadere nel cliché del proletario alla Pasolini, che comunque da tanto tempo il nostro cinema non racconta più. I film di Natale e le commedie parlano di benestanti. Qua invece c’è la fame. Soprattutto la fame di oggetti».
Si riferisce alla smania di accumulare cose?
«Sì. Ma anche alla fame di situazioni sempre più “su”, oltre il proprio stato sociale. Le baracche di Pasolini ormai non esistono più. Circola, invece, fame di arrivismo, di diventare qualcuno. Di possedere un certo tipo di oggettistica».
Siamo dalle parti della denuncia sociale, allora?
«Dobbiamo ancora decidere come “raccontare” il film: la trama influenza la comunicazione, che è delicata. Non voglio cadere nelle trappole dello schieramento. Ultimamente i film italiani presentano subito i buoni e i cattivi. Qui tutti sono il contrario di tutto... Non è un film a tesi. Proprio perché noi italiani siamo contraddittori. Il film non giudica Claudio, che invece risulta simpatico».
Lei abita in una periferia costruita nei Settanta e ispirata all’architettura di Le Corbusier. Il suo Claudio si aggira tra la Bufalotta e Porta di Roma, periferie contemporanee. In che cosa si diversificano?
«A Corviale ci sono le piazze, per incontrarsi.

Dove ho girato esistono centri commerciali e spazi privi di punti per socializzare. Vecchie e nuove periferie sono accomunate dalla bellezza degli abitanti. Poveri, ma belli! Tutti si curano: il culto dell’immagine, in periferia, è più forte».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica