L’INTERVISTA MERCEDES BRESSO

RomaGovernatore Mercedes Bresso, il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta sostiene che bisogna equiparare l’età pensionabile tra uomo e donna e che, a partire dal pubblico impiego, lavorerà sul questo argomento... È d’accordo?
«L’ho detto e lo ripeto. Ho sempre pensato che la disparità di trattamento tra uomo e donna non sia corretta».
D’altronde su questo argomento siamo stati pure condannati dalla Corte di giustizia europea...
«Il modello attualmente in vigore nasce perché ci si basava su periodo in cui le donne vivevano meno degli uomini ma oggi questo sistema non ha più senso. È giusto che l’età per andare in pensione sia la stessa per ambo i sessi. Ma ad alcune condizioni».
Che sarebbero?
«Bisognerebbe siglare un patto per cui le risorse risparmiate con la mancata erogazione delle pensioni vengano dirottate per incrementare alcuni servizi».
Sembra di sentir parlare la Marcegaglia... Confindustria ha appena chiesto di rivedere il sistema pensionistico per trovare altri soldi per gli ammortizzatori sociali...
«Non ho problemi a dire che sono d’accordo anche se in questo momento le risorse per la cassa integrazione ci sono. Mancano invece alcuni servizi, per esempio per gli anziani non autosufficienti e per i bambini. D’altronde le cosiddette “baby pensionate” di oggi cosa fanno? Assistono i figli dei loro figli o i loro anziani genitori».
Mentre invece potrebbero rinviare la loro uscita dal mondo del lavoro?
«Sì, io li chiamo i “giovani anziani”: tutte persone ancora attive e che magari vorrebbero continuare a fare il proprio mestiere. Ma attenzione: in cambio della richiesta di rinvio della pensione lo Stato dovrebbe rinforzare alcuni strumenti del welfare. Penso, ad esempio, agli asili nido».
Ora le donne possono andare in pensione a 60 anni, gli uomini a 65. Nel «suo» Piemonte come siete messi?
«Da noi il tasso di attività delle persone di età compresa tra i 55 e i 65 anni è del 30 per cento. Dovrebbe essere invece, del 50 per cento. Ne sarebbe felice anche la Corte di giustizia europea».
Altra tesi di Brunetta: «Innalzando ulteriormente l’età pensionabile si recupera quel 10 per cento in più dello spaventosamente basso tasso di occupazione italiano». Tradotto: 2 o 3 milioni di posti di lavoro in più, più gettito fiscale, più pil. Concorda?
«In linea di massima sì, anche se occorre considerare che in questo modo si limita l’apertura di nuovi spazi di lavoro per i giovani».
Parla di un «patto» sul tema della previdenza ma la Cgil ha già risposto picche a Brunetta...
«Be’, il sindacato fa il suo mestiere. È chiaro che in cambio di niente dicano subito di no. Ma è altrettanto evidente, però, che una trattativa si deve aprire per forza e sul piatto va messa la riallocazione delle risorse».
Ma mettere mano alle pensioni è così impraticabile politicamente e socialmente?
«Il fatto è che i sindacati pensano ancora a quei lavoratori che hanno iniziato molto presto a lavorare, magari a 15 anni. E a 60 anni uno ha già lavorato fin troppo».
Sì ma tutti gli altri? Quelli che hanno iniziato a lavorare a 25 o 30?
«Appunto. Per questo dico che anche i sindacati dovrebbero iniziare a discutere perché la questione va affrontata. I costi per la previdenza sono e saranno sempre più elevati».


L’Onu stima che nel 2050 saremo più di 61 milioni, con una quota di persone con oltre 80 anni che supererebbe il 13 per cento. Ora è del 5,3 per cento...
«Infatti: il sistema così non regge. Dobbiamo capire che da un pezzo non possiamo più permetterci di andare in pensione a 40 anni».

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