Venerdì scorso, in televisione, Daniela Santanchè ha «osato» sostenere che «il velo non è un simbolo religioso, non è prescritto dal Corano». Gli ha replicato Ali Abu Shawaima, imam della Moschea di Segrate e membro del «Consiglio dei saggi» dell'Ucoii: «Io sono un imam e non permetto a degli ignoranti di parlare di islam. Voi siete degli ignoranti di islam e non avete il diritto di interpretare il Corano». L'uomo ha proseguito, fuori onda: «Il velo è un obbligo di Dio. Quelle che non credono in questo non sono musulmane». Di conseguenza le musulmane colpevoli di non portare il velo (anche in Italia) sarebbero delle miscredenti e delle apostate: un'accusa che si può trasformare nella condanna a morte. Magdi Allam, musulmano non ortodosso e quindi costretto a vivere sotto scorta, aveva invano avvertito - sul Corriere della Sera di ieri - che corre lo stesso pericolo anche la parlamentare Santanchè, apostrofata così dallo stesso imam: «Lei è un'ignorante, lei semina l'odio, è un infedele».
Detto fatto, quello che (in assenza di imam musulmani) sarebbe stato un normale dibattito televisivo, è diventato una minacciosa condanna, per cui l'onorevole Santanchè - rea di avere espresso un'opinione - dovrà venire scortata. Adesso c'è solo da sperare che questo gravissimo episodio convinca i seguaci della tolleranza a tutti i costi sulla necessità di cambiare atteggiamento. Mettiamola nel modo più semplice: se accettiamo che un prepotente ci costringa a cedergli il posto in autobus, il passaggio successivo non sarà ricevere i suoi ringraziamenti, ma più probabilmente di essere buttati fuori dalla vettura.
Sulla questione del velo credevamo di avere almeno una certezza, ovvero che è proibito dalla legge italiana se maschera il volto. Ieri abbiamo invece appreso che: a) secondo il Tar dei Friuli Venezia Giulia non è possibile applicare quella disposizione neanche a chi indossa il burqa «se non c'è una precisa legge in materia». b) che le musulmane residenti in Italia o addirittura italiane corrono il rischio - non vago - di una condanna a morte religiosa se non indossano il velo o lo condannano.
Tutto ciò ha un senso, dal punto di vista del fanatismo musulmano, perché è la prova concreta della sudditanza della donna (sudditanza esclusa dalla nostra Costituzione) e aiuta la formazione di una comunità islamica fondata non sulle leggi dello Stato, ma sulla sharia. Non hanno senso - al contrario - le dichiarazioni di politici di entrambi gli schieramenti, i quali hanno legittimato il velo; né hanno senso i pareri di quei religiosi cattolici disposti a accettarlo purché non si metta in discussione il nostro diritto di esibire il crocifisso. Nessun compromesso è possibile con chi - per principio - non è disposto a accettarne.
L'evidenza ci mette sotto gli occhi ogni giorno che l'islam - estremisti o no a questo punto non fa differenza - è deciso a limitare la nostra libertà per imporre una legge religiosa che ci è estranea e anzi sempre più ostile.
L'abbiamo sperimentato prima con le vignette su Maometto, poi con l'aggressione a Benedetto XVI per le sue parole all'università di Ratisbona. Abbiamo subìto più per quieto vivere che per tolleranza, più per pavidità che per apertura mentale.
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