Stefano Zurlo
da Milano
Ha ormai 82 anni, ma il suo chilometrico curriculum calamita in continuazione imprese e istituzioni. Virginio Rognoni, almeno per ora, non va in pensione. Chiuso in estate un quadriennio importantissimo come vicepresidente del Csm, Rognoni entra nel tempio delleditoria italiana: il consiglio damministrazione di Rcs. Qui prende il posto di Giangiacomo Nardozzi Tonielli che si era dimesso il 12 settembre. Rileggere la biografia di Rognoni vuol dire guardare allo specchio mezzo secolo di vita del Paese: basti dire che è stato deputato democristiano per sette legislature, dal 1968 al 1994 e alla morte della Prima repubblica. E ancora ministro dellInterno in un periodo difficilissimo, fra il 1978 e il 1983, con lItalia squassata dal terrorismo. Navigatore accorto, Rognoni è stato uninfinità di cose.
Ma forse è lultimo biglietto da visita del politico pavese il più ricercato. Rognoni è stato di fatto il capo del Csm dal 2002 al 2006, insomma nellera Berlusconi. Con toni felpati e cordiali, da vecchio democristiano, ha guidato la magistratura nel periodo in cui il centrodestra varava la discussa riforma dellordinamento giudiziario e le toghe rispondevano con una sventagliata di scioperi senza precedenti. Lui, nel perfetto rispetto del copione assegnatogli, ha fatto da megafono, magari vellutato, ai giudici e alle loro sfide antiberlusconiane. «Ma - lha salutato il solitamente aspro ex Guardasigilli Roberto Castelli - mi complimento con lui per aver portato a termine questi quattro anni, anni non certo facili in virtù delle contrapposizioni fra giustizia e politica».
Ora Rognoni simbarca sulla corazzata delleditoria italiana. Certo, non spiacerà ai dirigenti Rcs avere nel cda un politico «antico» dalle antenne così sensibili. Capace di interpretare gli umori del partito dei giudici.
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