L’invasione islamica parte dalle culle

Caro Granzotto, a Pescara c’è stata una conferenza. Il manifesto diceva così: «Primavera di Libertà. Ne discutiamo con Giuliana Sgrena». Penso che tante persone entusiaste siano andate a questa manifestazione promossa da Sinistra Ecologia e Libertà. Io non ci sono andata perché a me la primavera araba... non me ne può fregar di meno. Mi preoccupa molto, ma molto di più, l’inverno europeo che credo sia cominciato con l’invasione «pacifica» che stiamo subendo da parecchi anni (nella Spagna quel tipo di inverno durò circa sette secoli). Lei che ne pensa? Non dovrei preoccuparmi? Allego un documento che mi ha fatto pensare parecchio.
Pescara

Tira aria molto brutta, gentile lettrice. Aveva ragione Maroni perché pare proprio che svariate migliaia di libici siano ai nastri di partenza, destinazione Pantelleria. Mentre da est seguitano ad affluire - sulle «carrette del mare» o «imbarcazioni arrugginite», come ho letto sul Corriere, quasi che la ruggine renda più penosa, più drammatica la passeggiata di poche miglia dalla costa nordafricana al lembo estremo dell’Italia - clandestini d’ogni nazionalità, ma di comune fede islamica. Però, a Pescara, la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena sosteneva che «il governo Italiano ha inutilmente e strumentalmente allarmato la popolazione per un numero veramente esiguo di profughi». Esiguo. Negli ultimi tempi di «profughi», cioè di clandestini, ne sono arrivati oltre 25mila. Un numero che solo la Sgrena giudica esiguo, aggettivo che in lingua italiana, in arabo non so, sta per scarso, irrilevante. Si può nutrire qualche dubbio sulla attendibilità dei dati riportati dal documento che mi acclude, gentile lettrice. E cioè che una civiltà, una cultura si perpetua se l’andamento demografico non scende sotto la media di 2,1 figli per famiglia. Quando la media, nell’Unione europea, è di 1,4 (e in Italia di 1,1). Però è difficile contestare ciò che disse già negli anni Sessanta l’ex presidente algerino Houari Boumédienne e che qualche tempo fa ripeté Gheddafi. E cioè che la forza dell’islam non risiede nelle sue spade, nei suoi fucili, nelle sue bombe (e Gheddafi aggiunse: nel suo terrorismo), ma nel ventre delle sue donne. In quell’Europa dove la media è, appunto, di 1,4 figli, ci sono 52 milioni di musulmani residenti che di figli ne fanno il doppio, il triplo. In Francia - dove la media è di 1,7 - toccano il picco di 8,1. Ciò che fa dire ai demografi - e al governo tedesco, che ha ammesso il fallimento dei processi di integrazione e dunque della società multiculturale - che in vent’anni la popolazione musulmana residente nell’Unione europea raddoppierà: cento e passa milioni.
Non sarebbero cifre così allarmanti se da un lato i musulmani non resistessero alle lusinghe dell’integrazione mantenendo con protervo impegno i propri costumi, la propria assoluta islamicità e, dall’altro, se masse di babbei non rinunciassero ai loro per uniformarsi alla cultura islamica - peggio ancora: per non offendere i sentimenti degli ospiti islamici - nel nome di un ideale melting pot prospettato come un paradiso terrestre dove tutti si amano, tutti sono fratelli che si tengono per mano e fanno il girotondo.

È, come lei dice, gentile lettrice, l’inverno dell’Europa, della sua cultura, della sua civiltà. Delle sue radici. Le Sgrene ne gioiscono, noi rabbrividiamo, ma facendo nostra la sentenza di Umberto Bossi: «Foeura di ball».
Paolo Granzotto

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