Martedì della scorsa settimana è uscito, con grande rilievo sul principale quotidiano italiano e su tutti i maggiori quotidiani europei, un annuncio a pagamento da parte della federazione francese degli ippodromi. Provocatoriamente questo il titolo: «Vogliamo la morte del cavallo?». Lippica francese con questo messaggio su tutti i quotidiani, vuole segnalare un fatto che dovrebbe preoccupare anche noi: su iniziativa della Commissione europea, sono partite richieste ufficiali di chiarimenti ai governi dei Paesi comunitari, tendenti a conoscere la posizione dei singoli Paesi rispetto ai sistemi di concessione/autorizzazione relativamente ai sistemi di raccolta di scommesse. Lagitazione dei francesi, normalmente molto formali e compassati nei rapporti, è motivata dal fatto che iniziative del genere da parte della Commissione europea, sono prodromiche allapertura di un procedimento di infrazione. Con tutto ciò che ne potrebbe conseguire, per i vari sistemi in atto in tutti i Paesi, in particolare Francia e Italia. Non è che lultimo atto - per il momento - della guerra in essere tra i bookmaker inglesi (Stanley, William Hill e Ladbrooke), e i governi di Italia e Francia in particolare. Sostengono i bookmaker il loro diritto di raccogliere gioco in qualunque Paese comunitario, attraverso strumenti telematici (Internet), in presenza di una autorizzazione rilasciata da uno stato europeo. La Francia e lItalia sostengono esattamente e giustamente il contrario: in assenza di autorizzazione dello stato dove si intende esercitare la raccolta del gioco, il fatto viene censurato, anche penalmente. Le ragioni degli inglesi a sostegno della loro tesi, sarebbero in ordine di una presunta violazione del diritto di esercitare servizi in ambito comunitario e quindi chiedono una pronuncia ed una censura verso quei Paesi che - a loro dire - violerebbero la direttiva che regola il settore (GUCE L376/36 del 27 dicembre 2006). Vale rilevare che in questa direttiva è espressamente escluso il gioco dazzardo, lasciando facoltà ad ogni Paese di regolamentare con leggi interne il settore. Il sottile distinguo degli inglesi verte sulluso di Internet per raccogliere gioco e così formalmente sostenere che si svolge in altro Paese e ambito comunitario. LItalia per parte sua in vista di queste pressioni, ha attuato una grossa apertura: la libertà di partecipazione al recente bando di concorso per lassegnazione di Agenzie, sportive e ippiche, a qualsiasi soggetto comunitario, ovviamente in presenza dei requisiti richiesti dal bando. La vera posta in palio di questa contesa riguarda il fatto che se fosse sufficiente una autorizzazione in un qualsiasi stato membro dove la fiscalità, poniamo è del 3% sul movimento, il titolare di questa autorizzazione potrebbe operare liberamente in altro stato membro, con lausilio di Internet, dove limposta da pagare potrebbe essere del 20%, o superiore. Una soluzione, a lume di naso assurda. La materia è complessa e molto delicata, lippica francese in questo annuncio pubblicitario, spiega le sue più che condivisibili ragioni, perché il sistema deve rimanere così comè, per il raggiungimento di fini pubblici altrimenti non perseguibili. Riterrei utile un intervento da parte italiana a tutela del sistema che, in assurda ipotesi negativa, porterebbe alla vanificazione dei recenti bandi di assegnazione.
Dal momento che siamo in tema francese, vorrei sommessamente fare rilevare allamico Guido Melzi, commissario dellUnire, che nella sua lettera aperta pubblicata sullo Sportsman, incorre in una grossa omissione quando tenta (maldestramente), il confronto tra la redditività del sistema francese con quello italiano con la frase: «Vorrei solo far notare che in questi giorni ho letto che il movimento di scommesse raccolte dal Pmu nel 2006 è stato di 8,1 miliardi di euro, in confronto ai quali i nostri 3 miliardi circa sono un dato frazionario.
*consigliere dellAnact (Associazione nazionale allevatori del cavallo trottatore)
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