L’ira di Napolitano sul no del Tar: «A cosa è servito fare il decreto?»

RomaNon funziona. Non serve. Non basta per recuperare la lista romana del Pdl. «Non è applicabile al Lazio», sentenziano insomma i giudici del Tar e al Quirinale la notizia ha l’effetto di una bomba. «E allora, quel decreto che lo abbiamo fatto a fare?», sibila il presidente ai suoi collaboratori riuniti in seduta urgente nel suo studio privato. E già, chiede Giorgio Napolitano, a che scopo tutte queste polemiche, lo scontro con Berlusconi, il gelo con il Pd, i viola stesi in piazza, Di Pietro che chiede l’impeachment, a che è servito tutto questo se poi siamo di nuovo alla casella di partenza?
C’è imbarazzo sul Colle per la sconfessione di un testo scritto a quattro mani con Palazzo Chigi e ora neutralizzato dai giudici amministrativi. C’è anche un filo di stupore misto a rabbia. Perché, se è vero che, come spiegano alla presidenza, «si limitava a offrire uno strumento interpretativo e non dava direttive», è vero pure che la sentenza del Tar sconfessa le parole del capo dello Stato, che aveva definito «insostenibile» andare al voto senza la lista del maggior partito di governo. Lo sgarbo viene però ammortizzato dal Quirinale con un invito ad «aspettare che si concluda l’iter previsto», e cioè la sorte della lista ripresentata ieri e il pronunciamento del Consiglio di Stato.
Sul merito della decisione del Tar, «no comment». Dal Colle però precisano che l’intervento di «collaborazione istituzionale» con il governo per la stesura del testo si è limitato a verificare l’esistenza di profili di incostituzionalità, non certo la sua efficacia. Un decreto interpretativo lascia comunque sempre alla magistratura l’ultima parola. E ora?
Ora tutti calmi e buoni. Il rinvio delle elezioni nel Lazio non sembra una strada praticabile. Perciò Napolitano invita a mantenere i nervi saldi, come aveva cercato di fare l’altro giorno con quelle 42 righe su internet, una lettera «senza intermediazioni», per farsi capire da tutti. «Ma una democrazia rispettabile - dice nel pomeriggio, prima della sentenza, celebrando l’8 marzo - è proprio il luogo nel quale per essere buoni cittadini non si deve esercitare nessun atto di coraggio». La gente sembra aver apprezzato l’operazione trasparenza del Colle. «Il messaggio è stato utile ed è servito, anche se io non faccio sondaggi». Meglio concentrarsi su quello che è il vero cemento del Paese: la Carta.
Il confronto, anche duro, sostiene, è il sale della democrazia. Però, «al di là di ogni differenza di modi di pensare e di posizioni politiche», aggiunge, «profonda è tra gli italiani la condivisione di quel patrimonio di valori e principi che si racchiude nella Costituzione repubblicana». Una Carta che è nata «a coronamento di una lunga e travagliata esperienza storica» e che il presidente della Repubblica è chiamato a seguire. Le decisioni prese in questi giorni, fa capire, hanno seguito questa traccia, non sono state scelte politiche ma di garanzia. Basta quindi con l’avvelenare i pozzi, pensiamo piuttosto a ritrovare i motivi dello stare insieme. «Il prossimo 150° anniversario dell’unità d’Italia è una grande occasione per abbracciare le nuove generazioni, portandole a riflettere sui valori che hanno unificato la nazione».
E tra questi «l’impegno civile, la solidarietà, il rispetto della legalità», principi fondanti del nostro vivere civile».

Il presidente pensa ai giovani, a chi vive realtà difficili, e osserva che spesso «in un contesto degradato, in situazioni di diffusa illegalità, essere ragazzi e ragazze perbene richiede talvolta sacrifici e coraggio». Un coraggio «bello» ma che, «in una democrazia rispettabile» dovrebbe essere inutile se non si sceglie di fare l’astronauta.

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