Milano - «Ci sono due responsabili nella vicenda di Rahmatullah Hanefi, il nostro uomo in mano ai servizi di Kabul, e i loro nomi sono Hamid Karzai e Romano Prodi». Niente giri di parole, un solco che di giorno in giorno si fa sempre più profondo. L’ultimo attacco, sulle frequenze del giornale radio di ieri mattina. Gino Strada, fondatore di Emergency, è un fiume in piena. L’esecutivo di Roma e il presidente afghano i suoi obiettivi. «È la prima volta - dice Strada - che quando si fa uno scambio di prigionieri, perché due parti si sono messe d’accordo e decidono di affidare a qualcun altro di mettere in pratica l’operazione, chi la fa viene poi arrestato». Dunque, la prigionia di Hanefi (accusato dai servizi segreti afghani di essere un fiancheggiatore dei talebani, e di aver preso parte al sequestro dell’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo) «è un’infamia». E «i responsabili sono quei due signori e tutto quello che rappresentano».
«Il governo italiano - insiste il chirurgo - dovrebbe vergognarsi di non aver fatto una dichiarazione un minuto dopo questa infamia, portata avanti da quell’altro governo di tagliagole, di agenti stranieri, che noi siamo lì a sostenere con un milione e mezzo di euro al giorno, solo per pagare i militari». «Non me ne frega niente - continua - se i ministri ringraziano, millantano... Noi non vogliamo grazie dalla politica, piuttosto siamo schifati dalla politica. Hanefi è una persona onesta, uno dei nostri, uno che fa cose quando c’è da salvare qualcuno».
Da giorni è muro contro muro. Domenica, il primo affondo. «Quanto Rahmatullah sia affidabile il governo italiano dovrebbe saperlo bene, visto che in occasione del sequestro precedente, quello di Torsello, gli affidarono due milioni di dollari da portare ai rapitori». Imbarazzo a Roma. Ieri, la sferzata più dura su Radiorai. Tanto che il chirurgo è costretto a smentire di aver mai accusato Prodi e Karzai per la morte di Adjmal Nashkbandi, l’interprete di Mastrogiacomo ucciso l’altroieri dai talebani. «Non l’ho mai detto - assicura Strada - ho parlato solo delle loro responsabilità per la prigionia del nostro collaboratore». Ma questo, ormai, è il clima. Riscaldato anche dall’ipotesi che Emergency volesse lasciare l’Afghanistan.
Ma ieri pomeriggio, al termine di un tormentato direttivo, il vicepresidente Carlo Garbagnati chiarisce l’intenzione di restare. Una permanenza, però, a cui vengono poste due condizioni: primo, la liberazione di Rahmatullah Hanefi. Perché «è malato - fa sapere Garbagnati -, ha gravi problemi di salute che rendono inaccettabile che si protragga la sua detenzione». E perché le accuse che lo tengono in carcere sono «bizzarrie». «Rahmatullah non ha fatto altro che non fosse quanto gli è stato chiesto dal governo italiano». Secondo, la possibilità di lavorare in sicurezza. «Noi siamo lì per curare chiunque. Se la nostra attività viene resa difficile e problematica, la presenza in quel Paese non è più plausibile». Dunque, «nei prossimi due o tre giorni ci sarà una consultazione approfondita con il personale internazionale dell’organizzazione» per valutare «se ci sono le condizioni per andare avanti».
Prossima tappa, dunque, Kabul. Lì, Strada incontrerà lo staff di Emergency. Lo stesso che, in queste ore, ha lasciato l’ospedale di Lashkar-Gah di cui Hanefi era direttore. «Determinanti - è l’avvertimento - saranno comportamenti e decisioni dei governi afghano e italiano».
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