Chiamarla Borsa in effetti fa un po' sorridere. Quel che si vede finora, in quella che era la sala-ristorante di un albergo di mezza tacca di Bagdad, il White Palace, è solo un impiegato che scrive a mano, con la furia di un tarantolato, ordini e quotazioni su una serie di lavagnette appaiate. E un gruppo di «traders» attaccati al cellulare (veri commercianti, improbabili operatori e autentici avventurieri)che gridano i loro ordini tenuti a bada da un cordone rosso che separa la «Bagdad stock exchange» vera e propria dal parterre di chi (e il numero cresce ogni giorno) ricomincia a credere che anche nella sbrindellata capitale irakena si può ricominciare a sognare in dollari e in euro.
Bagdad torna timidamente a sperare in un futuro prossimo di normalità possibile, e le «grida» che salgono dal ristorante del White Palace dicono che sì, scommettere sul futuro di questo Paese si può ancora. Anzi si deve, giura chi ha il bernoccolo per gli affari. Purchè si sia dotati di una buona dose di coraggio e di una dose doppia di ottimismo.
Ancora un paio di mesi, e la struttura naif dell'attuale Borsa irakena sarà solo un ricordo. Sono in arrivo computer, tabelloni elettronici, telefoni e fax d'ultima generazione. E insomma, con un po' di buona volontà (sempre che i terroristi e i kamikaze della centrale qaidista non tornino a mettere tutto in discussione) si potrà pensare alla Borsa di Bagdad come a una cosa quasi seria.
Al momento le società quotate sono 94, e il prezzo medio delle azioni (i bene informati puntano il dito sulla Bank of Bagdad, la Soft Drinks Co. e l'Iraqi Tufted Carpets Co.) oscilla intorno ai 6 centesimi di dollaro. «Il momento giusto per comprare», ha assicurato il broker Haitham Elias all'inviato del Times di Londra. «Se le condizioni di sicurezza miglioreranno - confida il broker - il valore delle azioni triplicherà. Anzi, quadruplicherà».
Quando i tabelloni elettronici saranno al loro posto, e la rete telematica sarà tornata efficiente (il modello cui ci si ispira è ovviamente il Nasdaq di New York) si potrà comprare e vendere da ogni angolo del globo.
Insomma, magari non sarà boom, ma le premesse per una crescita gagliarda ci sono tutte. Nel giugno del 2004, quando la Borsa riaprì timidamente i battenti, le aziende quotate erano solo 15. Ma già alla fine del 2005 si era arrivati a una capitalizzazione di un miliardo di euro, prima che le stragi quotidiane, e l'estrema volatilità della situazione politica inducessero gli investitori a battere in ritirata.
Ora il vento sembra cominci a girare, e la voglia di rimboccarsi le maniche in un Paese che ha bisogno di tutto si avverte irresistibile in ogni settore. Come dice un consulente economico dell'ambasciata americana «il rischio è tremendo, ma lo è anche il potenziale di crescita». Settori trainanti? Le banche, il turismo e l'edilizia.
A corroborare le speranze di chi è pronto a scommettere su una rinascita dell'Irak sono le notizie confortanti che vengono dal nord del Paese, dove si temevano raffiche di attentati in occasione del primo anniversario dell'impiccagione di Saddam Hussein, che cadeva ieri.
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