Sarkozy? È «un estremista, che copia Bush ma in peggio». AllIran non sono affatto piaciute le frasi del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, che domenica ha invitato il mondo «a prepararsi al peggio ovvero alla guerra». Ieri ogni precisazione è risultata inutile. Gli Stati Uniti si sono apparentemente distanziati da Parigi, ma a ruoli invertiti rispetto alla crisi con lIrak di Saddam Hussein. Allora era la Francia a chiedere una soluzione diplomatica, mentre gli Usa premevano per un intervento militare. Ora, invece, è il capo del Pentagono Robert Gates a prendere apparentemente una posizione più moderata sostenendo che «quello diplomatico è di gran lunga lapproccio preferibile». Ieri lo stesso premier francese François Fillon ha cercato di smorzare la polemica, sostenendo che la forza «è lultima opzione», ma ha ribadito che «Teheran deve capire che la tensione è al massimo, in particolare verso Paesi vicini come Israele», insistendo su un punto: «La minaccia rappresentata dalle armi nucleari iraniane è reale e Parigi è favorevole a nuove sanzioni, le più severe possibili». In realtà la Francia e gli Usa stanno agendo di comune accordo: il loro scopo è quello di costringere Teheran a uscire allo scoperto. Ovvero ad accettare ispezioni serie o a rifiutarle, mettendo diversi Paesi occidentali nelle condizioni di attaccare.
Già, perché questa volta Washington non è sola. Oltre a Parigi può contare sulla comprensione della Germania, che ieri non ha condannato le dichiarazioni di Kouchner, e, come sempre, della Gran Bretagna. Dei quattro grandi Paesi europei solo lItalia frena. Il ministro degli Esteri Massimo DAlema ha dichiarato che «nuove guerre non sarebbero la soluzione del problema e creerebbero soltanto altre tragedie e nuovi pericoli», mentre il suo sottosegretario Vittorio Craxi, ha espresso «un sostegno chiaro e netto al piano dazione dellAgenzia internazionale per lenergia atomica (Aiea)», che non ha cambiato linea rispetto alla guerra contro Saddam. Il suo direttore El Baradei era contrario allazione militare allora e lo è anche oggi. «Ci sono regole sulluso della forza, spero che tutti ricordino la lezione dellIrak, dove 70mila civili innocenti hanno perso la vita per il sospetto che il Paese avesse armi nucleari», ha dichiarato a Vienna a margine del Congresso dellAgenzia.
LAiea è in una posizione delicata: sebbene Teheran continui a rifiutarsi di sospendere le attività di arricchimento delluranio, come richiesto dal Consiglio di sicurezza dellOnu, El Baradei ha avviato un nuovo negoziato con il presidente Ahmadinejad chiedendogli chiarimenti sui suoi programmi nucleari sia presenti sia passati. Ieri ha ribadito la sua linea: «Entro novembre o dicembre potremo sapere se lIran sta agendo in buona fede o no e quindi chiedo a tutti di mordere il freno, fino a quando non avremo completato questo processo». In ogni caso ha messo «bene in chiaro di non vedere oggi un pericolo chiaro e immediato sul programma nucleare iraniano». Come dire: le denunce sono strumentali; ma Washington e Parigi accusano lAiea di essere troppo prudente con Teheran e insistono affinché il Consiglio di sicurezza vari subito nuove sanzioni.
In queste ore lIran sembra credere più a Kouchner che a El Baradei.
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