Gian Micalessin
da Teheran
«Indietro non si torna». La parola d'ordine almeno per ora è questa. A dettarla affacciandosi nella sala gremita e affollata del ministero degli Esteri è limmancabile portavoce Hamid Reza Asefi. «L'arricchimento delluranio, la ricerca nucleare e lo sviluppo - spiega - sono ormai irreversibili». Le parole di Asefi lo sono assai meno. Qui a Teheran sono in molti a scommettere su una svolta imminente, capace di disinnescare la tensione, rinviare il rischio di sanzioni e riportare la questione nucleare dal Consiglio di sicurezza al tavolo delle trattative. Uno dei primi ad annusare aria di cambiamento è il 72enne professor Davoud Hermidas Bavand. Per questo ex funzionario del ministero degli Esteri dei tempi dello Scià, trasformatosi in docente universitario e analista politico per i più importanti giornali riformisti, la politica nucleare è a un bivio strategico. «Le mosse spregiudicate degli ultimi sei mesi concluse dallannuncio dellavvenuto arricchimento dell'uranio hanno garantito il raggiungimento di unindubbia posizione di vantaggio - spiega Bavand al Giornale - grazie a queste mosse il governo è non solo in grado di riprendere il negoziato senza perdere la faccia di fronte all'opinione pubblica, ma anche di costringere l'Europa, gli Usa, la Russia e gli altri membri del Consiglio di sicurezza ad accettare l'ineluttabilità delle sue scelte». Un'idea condivisa anche da Saiid Laylaz, editorialista politico assai vicino all'ex presidente Hashemi Rafsanjani. «L'arricchimento dell'uranio è la piattaforma migliore per riprendere le trattative - sostiene Laylaz - non ci sarà da stupirsi se tra poco annunceranno di essere pronti a negoziare».
Segnali di una maggior disponibilità si notano anche nelle dichiarazioni ufficiali. Dopo aver detto «irreversibile» e «non ci arrenderemo, nemmeno in caso di sanzioni», lo stesso Asefi ipotizza un ritorno al negoziato garantito dal mantenimento delle attività nucleari sotto il controllo dell'Aiea. Subito dopo aggiunge che «il piano russo o qualsiasi altro piano capace di garantire all'Iran il diritto di accedere pacificamente alla tecnologia nucleare può essere accettato». Insomma il piano russo ritirato in ballo nei giorni scorsi anche dall'inviato iraniano presso l'Aiea potrebbe essere la chiave della nuova offerta. Il piano, messo a punto già molti mesi fa, prevede il trasferimento dell'uranio iraniano sul suolo russo e la delega a Mosca di tutti i controlli sulle percentuali di arricchimento e sulle quantità processate. Dopo averlo ripetutamente contestato senza mai rifiutarlo definitivamente gli iraniani potrebbero ora usarlo per allontanare lo spettro delle sanzioni e riprendere il negoziato in zona Cesarini. Anche perché il tempo stringe. Con l'avvicinarsi del 28 aprile, termine fissato dal Consiglio di sicurezza per la cessazione di tutte le attività nucleari, l'Iran sa di non poter contare a lungo sul sostegno dei suoi alleati internazionali. «Russia e Cina ci usano come strumenti di pressione internazionale - sostiene il professor Bavand - ma una volta ottenuto quel che vogliono da Washington ci abbandoneranno come hanno fatto con l'Irak di Saddam Hussein e molti qui a Teheran lhanno capito».
Il problema vero è però chi all'interno del regime iraniano deciderà le prossime mosse. A sentire il professor Bavand il potere iraniano è una sorte d'informe triade che dietro la facciata rumorosa e ingombrante di Ahmadinejad nasconde «il conflitto di poteri tra la Suprema guida Ali Khamenei e i vertici militari di pasdaran e miliziani basiji». Se le redini del nucleare resteranno nelle mani di Khamenei e del suo braccio destro, il capo del Consiglio di sicurezza Ali Larijani, tutto potrebbe ricomporsi. Se invece i generali dei pasdaran e i capi delle milizie basiji avranno la meglio, Ahmadinejad avrà mano libera rendendo irreversibile e irrisolvibile lo scontro con gli Stati Uniti.
Il piano per un'eliminazione del presidente iraniano discusso di recente, secondo un articolo del quotidiano Haaretz, dai capi dei servizi di sicurezza israeliani prende le mosse, probabilmente, proprio dall'ipotesi di un consolidamento del potere nelle mani dei circoli militari più irriducibili.
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