L’«irreprensibile» Scalfaro testimonial di Veltroni

Caro Granzotto, non so se le è sfuggito questo particolare della messa solenne per l’investitura di Walter Veltroni a capo del Partito democratico e dell’ipotetico governo delle sinistre tutte: il presidente del suo Alto comitato elettorale alle primarie (che ha già in tasca) sarà Oscar Luigi Scalfaro. Il nuovo che avanza. Largo ai giovani.


Caro Santini, come dice il proverbio? Dice: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Oscarone Luigione Scalfaro! Un mito, oltre che un barone (per la precisione, «dei baroni»). Esordisce da magistrato, ramo pubblica accusa, chiedendo e ottenendo, nel giugno del ’45, la condanna a morte di tre fascisti. Quando di lì a un mese il Codice di guerra, che appunto prevedeva la pena capitale, sarebbe stato abrogato. Oscarone non ne approfittò per rinviare, ricorrendo a una delle mille gabole giudiziarie, la sentenza. Pigiò sull’acceleratore per paura che i condannati sfuggissero alla fucilazione. Da buon cristiano, quale afferma d’essere. Negli anni Cinquanta rampogna e minaccia di prendere (o prende: le versioni non concordano) a schiaffi una signora la quale, in un caffé di via Veneto a Roma, stava sorbendo una granita in abito sbracciato. Da buon apostolo del «dialogo», quale afferma d’essere. Alle 22,32 di mercoledì 3 novembre 1993, in tivvù, a reti unificate, se ne esce col leggendario, sensazionale, strepitoso «Non ci sto!» che fa di lui il campione della trasparenza e del bon ton istituzionale. Sempre in qualità di capo dello Stato nel dicembre 1994 dà vita a un nuovo strumento della dialettica politica: il ribaltone (ai danni, va da sé, di Silvio Berlusconi e del suo governo). Da paladino del sistema democratico e custode del principio costituzionale della volontà del popolo sovrano, tutte cose ch’egli vanta di porre in cima ai suoi pensieri.
È questo dunque l’uomo che Walter Veltroni ha scelto come suo testimonial. Forse perché, oltre alle virtù sopra elencate, si pone come paradigma stesso dell’irreprensibilità, della correttezza ottocentesca del politico disinteressato, all’esclusivo servizio dello Stato e dei cittadini. Lei, caro Santini, avrà letto l’intervista del grande Stefano Lorenzetto a Gaetano Rizzi. Ora Rizzi si occupa di un software per cellulari di sua invenzione, un marchingegno prodigioso, ma un tempo era pilota del 31° stormo dell’Aeronautica militare, quello riservato ai voli di Stato. Bene, Rizzi ricordava a Lorenzetto di aver accolto a bordo, oltre a tanti altri vip, anche «la figlia del presidente Oscar Luigi Scalfaro». Siccome non disse «Scalfaro e la sua figliola» è da desumersi che sull’aereo di Stato capitava che salisse la sola Marianna, chiamata affettuosamente dal babbo «Cicina».

La domanda è: è lecito che le Cicine si facciano spupazzare, come dicono a Roma, sugli «aerei blu»? Detto in altri termini, l’uso della flotta di Stato è riservata alle alte cariche o anche ai loro cari, alle loro Cicine? Inutile chiederlo a Scalfaro. Risponderebbe: «No, non ci sto!». Le persone irreprensibili, si sa, son fatte così: non ti danno mai soddisfazione.

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