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L’isola felice Volkswagen «Qui posti sicuri e buoni»

Se oggi conservare il lavoro nel settore dell’auto rischia di diventare un terno al lotto, c’è chi ha fatto bingo. Sono i 1.100 dipendenti del gruppo Volkswagen in Italia, 900 a Verona e 200 a Firenze, cui va aggiunto il personale di Lamborghini, Italdesign, Man e Scania (e una volta definiti i dettagli anche di Ducati), allineati e coperti sotto un ombrello capace.
«Posti sicuri e buoni», ha sottolineato il ceo di Volkswagen Group, Martin Winterkorn, nell’illustrare una politica che, tra formazione massiva sul campo e sostenibilità in fabbrica e fuori, rientra nella logica teutonica della responsabilità sociale d’impresa. Valida anche in Italia dove Volkswagen, per dirla con le parole dell’ad Giuseppe Tartaglione, è «un nice place to work, si punta molto sulla soddisfazione dei dipendenti». Che, analogamente ai colleghi tedeschi, partecipano ai formulari di valutazione. «Lo fa oltre l’80% del personale, gratificato peraltro non solo da bonus pure individuali, assegnati in base al coinvolgimento nella vita aziendale, ma anche da benefit che spaziano dalla mensa gratuita («tra le migliori sull’intera piazza veronese»), compreso il take away per i pasti del fine settimana, dalla lavanderia, dalle convenzioni con asili e palestra, ai leasing per dipendenti e pensionati. Ciliegina sulla torta, il primo accordo sindacale in cogestione: «Non è come quello tedesco - puntualizza Tartaglione - ma ne riprende l’indirizzo. Il contratto integrativo di partecipazione aziendale applica i principi della “Charta der Arbeitsbeziehungen”, che inquadra le modalità in cui le parti cooperano per gestire i rapporti di lavoro in modo responsabile». Altro che le beghe Fiat-Fiom: il clima sereno, si sa, aiuta il business. «Abbiamo successo perché lavoriamo bene. E poi, siamo costanti nelle novità: nell’ultimo lustro, almeno 20 nuovi modelli a stagione. Se 15 anni fa la differenza consisteva nel livello tecnologico del prodotto, e il made in Germany se ne avvantaggiava sul mercato, oggi servono anche stile ed emozioni». La differenza che si lega all’anima italiana del gruppo.

Volkswagen, che acquista componenti in Italia per 3 miliardi l’anno, mantiene stabile la propria quota dell’immatricolato nazionale, dopo un 2011 comunque in crescita; ma come la mettiamo con la rete, alle prese con la crisi? «Perdere un dealer per strada mi farebbe sentire sconfitto, ma mi sentirei un dilettante, se cercassi di conservarne uno che non si è adeguato al momento del mercato. Affrontare alti e bassi fa parte della pianificazione di qualsiasi attività. E il concessionario non è un venditore, ma un imprenditore, che non deve attendere aiuti o incentivi per muoversi».

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