Sport

L’isola del tesoro dove l’oro vale una bicicletta

MONDIALI Solo 4 pugili a medaglia, anche se hanno 15mila praticanti sotto i 12 anni. Oggi Cammarelle e Valentino

Fidel avrà lo sguardo dei giorni peggiori. La nave bandiera sta navigando contro vento, qualche falla qua e là. A Cuba la «buque insignia», l’ammiraglia dello sport, è la boxe. Anche se il baseball è lo sport del cuore. I pugili sono soldati eternamente al fronte, veri combattenti della vita. Rimbomba nelle teste: impara da Fidel, anche lui menava i pugni. «Boxare è un modo di trionfare, il mondo vi guarda, quando suona la campana il vostro popolo vi aspetta», gridano in palestra i maestri, che prendono fra le mani questi ragazzi da quando hanno 7 anni e li spediscono a combattere appena passati i 12. Ma sarà un caso se, scolorita la presenza del Leader, pure la scuola dei pugni sta subendo qualche scossone?
Si è terribilmente ristretta l’isola del tesoro pugilistico. I mondiali dilettanti di Milano lo stanno dimostrando. Solo quattro semifinalisti, una miseria rispetto all’abbondanza del passato. La Russia è rimasta sconfinata (8 semifinalisti valgono 8 medaglie) grazie ad un reclutamento fra 150mila praticanti (erano circa 450mila ai tempi dell’Unione Sovietica). Si sono fatti sotto in tanti: l’Ucraina, la Cina, perfino l’Italia che oggi avrà Cammarelle (contro il bielorusso Zuye) e Valentino (col georgiano Pkhakadze) a caccia della finale. Eppure da noi le cifre sono misere, appena 9.400 tesserati. I risultati incoraggianti: 4 medaglie a Chicago 2007, 3 a Pechino.
Cuba è stata (forse tornerà ad essere) l’isola delle meraviglie: Teofilo Stevenson l’icona, sembrava indistruttibile, vinse ori su ori, rifiutò il passaggio al professionismo, evitò di affrontare Muhammad Alì rinunciando ad una pioggia di milioni di dollari. Felix Savon è stato il suo delfino, un altro devastatore. Alcides Sagarra, l’analfabeta che combatté sulla Sierra Leon, poi diventato dottore in sociologia, è stato il primo artefice, l’uomo che ha sgrezzato i talenti. Oggi sono 15mila i ragazzi sotto i venti anni che praticano la boxe. E per le dimensioni dell’isola (un sesto della popolazione italiana) è un numero spaventoso. Ma il numero globale raddoppia. I bambini dai sette anni in avanti vivono in una specie di college, che per i nostri standard sarebbe una baraccopoli, soffrono, piangono, giocano, combattono e, se resistono, diventano qualcuno. Santiago e Las Tunas sono le città della boxe, sarà un fatto di aria. L’Avana ha 200 palestre, e per ciascuna almeno 300 ragazzi. Duecento tecnici vivono di boxe e una metà di essi vanno all’estero ad insegnarla e a guadagnare danari che, raramente, tengono per sé. Con questo sistema Cuba ha creato campioni e fatto raccolta: 35 ori olimpici e 61 mondiali. Anche se a Pechino sono arrivati solo argenti e bronzi (4 più 4) ed è stato uno smacco, mentre ai mondiali di Chicago 2007 la nazionale non si è presentata per una decisione politica.
Qui a Milano doveva esserci la grande rivincita, i cubani hanno marciato imbattuti fino agli ottavi, poi è cominciata la decimazione. Sono rimasti in quattro, il più giovane José Gomez Larduet (mediomassimi) ha 19 anni, il più vecchio Leon Alarcon (gallo) ne ha 27. Essendo in semifinale sono già medagliati con un bronzo, ma chi proseguirà aumenterà la posta dei premi preparati da Fidel: si va dai 200 ai 500 dollari. Ai Giochi del 1992 Joel Casamayor, un asso poi scappato negli Usa, ebbe in regalo una bicicletta. Capirete perché molti pensano alla fuga e alla carriera nel professionismo. Chi va, viene salutato così: «Buona fortuna e non farti rivedere più». E non sono carezze.
Chi vince può aumentare la collezione di denti d’oro, il simbolo della ricchezza.

Vediamo quanti andranno dal dentista.

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