L’ispirazione brucia più del fuoco

Elisabetta Sgarbi, un paio di anni fa, mi invitò alla Milanesiana per un reading; oggi invece per una conferenza. Quest’anno il festival verte sul tema del «paradosso». Sulle prime pensai che fosse un argomento poco propizio, dal momento che non riuscivo a pensare a nulla su cui stavo lavorando che calzasse con il tema del paradosso. Immagino che avrei potuto tenere una specie di conferenza sui paradossi letterari, come ad esempio sul fatto che più cerchi di essere originale, meno è probabile che tu ci riesca; oppure che più dure sono le limitazioni che ti vincolano, più libertà puoi scoprire di avere. Ma più pensavo a questi e altri paradossi, più mi ritrovavo a sbadigliare.
Due anni fa sono stato più fortunato. Allora il tema della Milanesiana era «I quattro elementi» e, guarda caso, coincideva perfettamente con un lavoro su cui all’epoca ero impegnato. Negli ultimi tre anni, tre festival letterario-musicali inglesi mi avevano chiesto di scrivere un libretto su un certo argomento che potesse essere musicato da Alec Roth, uno straordinario compositore con cui avevo già collaborato. Queste tre opere musicali sarebbero poi state eseguite ai tre festival e trasmesse dalla BBC. Adesso eravamo al quarto anno, e stavo cercando un argomento. Per i primi tre anni avevo scelto temi riguardanti tre diverse zone del mondo: Cina, Europa e India \
Alla fine eravamo giunti al quarto e ultimo anno del progetto. Niente sembrava capace di entusiasmarmi. Volevo qualcosa di diverso. Dal momento che nei primi tre anni mi ero occupato di varie zone geografiche, per il quarto magari avrei potuto trattare l’aspetto del tempo. Poi mi venne l’idea degli elementi, e cominciai a lavorare su alcune poesie basate su quell’argomento. Però molto lentamente. E infine arrivò l’invito della Milanesiana. E, guarda caso, il tema era incentrato proprio su «I quattro elementi».
Sono pigro di natura, e la data di scadenza di Alec era ancora a qualche mese di distanza. Però il termine indicato dalla Milanesiana entro cui avrei dovuto consegnare il mio contributo era più ravvicinato e, una volta accettato l’invito, sarei stato obbligato a scrivere di più e a perdere meno tempo. Alla fine, i miei sette componimenti erano pronti, e aspettavano di venire tradotti in italiano per il pubblico milanese.
Ho detto sette poesie. Ma per quale motivo - visto che gli elementi sono solo quattro? Beh, sicuramente nella tradizione europea ci sono quattro elementi: terra, aria, fuoco e acqua. A questi, in India, aggiungiamo un quinto elemento, una quintessenza: lo spazio. E i classici cinque elementi cinesi si sovrappongono a questi: il fuoco, l’acqua, la terra, il metallo e il legno. Combinando gli elementi delle tre aree culturali su cui avevo già scritto, trovai l’argomento per il quarto anno. E in qualche modo, attraverso gli elementi, furono inclusi persino gli oceani, la terra, la natura, lo spazio e il tempo. Tutte le sette poesie vennero recitate per la prima volta qui a Milano, e pubblicate su un quotidiano italiano. Pertanto, paradossalmente, la loro primissima pubblicazione avvenne sotto forma di traduzione. In seguito i testi originali inglesi furono musicati, eseguiti e trasmessi in Inghilterra. Cioè, tutti tranne uno: la poesia che scrissi sul Fuoco. Qui entrano in ballo altri paradossi. Dovrò tornare su questo punto.
L’effetto che scrivere queste sette poesie sugli elementi ebbe su di me fu immediato e duraturo. Cominciai a vedere il mondo a gruppi di sette. I sette giorni della settimana, le sette note della scala musicale, i sette animali che ho scolpito di recente in vari materiali, dal vetro al gesso, al legno, alla pietra, all’acciaio, al bronzo e al peltro. Per qualche motivo, nell’albergo in cui alloggiavamo a Milano, c’erano bottiglie quadrate nere di shampoo, balsamo, lozione per il corpo, crema per le mani, eccetera, con le etichette Ira, Invidia, Lussuria, Superbia, e così via. Ciò non fece che alimentare la mia ossessione, e cercai di associare gli elementi ai peccati mortali. Naturalmente, questo genere di cose può farti impazzire.
Ma ora passiamo a un paradosso. A un piccolo paradosso. La poesia sul Fuoco che era stata così apprezzata dal pubblico milanese non piacque affatto ad Alec. Apprezzò le altre sei poesie, e si diede da fare per musicarle. Però, quanto alla poesia intitolata Fuoco, non poté farci nulla.
«Che cos’ha che non va?» chiesi.
«Beh, veramente nulla... cioè, tutto».
«Quindi non ti piace?».
«Oh, mi piace molto...».
«Alec, stai parlando per enigmi».
«È solo che è un po’ letteraria e, sai com’è, indiretta. Sulle altre invece riesco a lavorare».
«E questa qui?».
«Bella come poesia, inutile come testo».
Dopo un po’, aggiunse: «Non puoi semplicemente fare un passo indietro e scrivere qualcos’altro?».
No, risposi, non potevo. Essa rappresentava il frutto della mia ispirazione. Non potevo semplicemente tornare dalla musa e dirle, scusa, hai fatto del tuo meglio e io ho fatto del mio meglio, ma il mio compositore (a cui a dire il vero la poesia piace) ha bocciato il nostro lavoro. In realtà, fui abbastanza seccato. Ma ormai ero passato oltre e mi ero concentrato su altre cose. Non potevo rimettermi a lavorare sugli elementi solamente per rabbonire un compositore pignolo.
Ma mentre guardavo le poesie, cominciai a pensare che Alec non avesse tutti i torti. I primi sei componimenti - Terra, Aria, Legno, Metallo, Acqua e Spazio - riguardavano direttamente i loro elementi. Nel caso di Fuoco, invece, avevo lavorato molto di più sul piano metaforico. Avevo usato il sole e la luna come simboli del fuoco - e poi mi ero servito di due personaggi per riferirmi a essi - uno preso dai testi sacri indiani, il bambino Krishna, e l’altro dal teatro europeo, l’Oswald dell’opera di Ibsen Spettri. Ciò complicava le cose per il pubblico - soprattutto dal momento che tutto era cantato. Il lettore di una poesia può leggere più lentamente o addirittura tornare indietro se non coglie alcuni riferimenti, ma un ascoltatore non può fare la stessa cosa con una canzone se lui o lei sta ascoltando in tempo reale. Alec aveva ragione; la poesia non avrebbe funzionato.
Ma cosa potevo fare? Avevo poco tempo, e non riuscivo a capire come lo stesso poeta, nel giro di un paio di mesi, avrebbe potuto scrivere due poesie completamente diverse sullo stesso argomento e con lo stesso titolo.
Alla fine, Alec mi disse che il paradosso si poteva facilmente risolvere. Mi suggerì di andare a casa a ubriacarmi. Quel consiglio temerario funzionò.

La musa - o forse una musa diversa - riemerse, senza mostrarsi riluttante, dai fumi del vino, e la seconda poesia, ugualmente intitolata Fuoco, venne alla luce. Alec ne fu soddisfatto e la musicò. Non so ancora cosa pensare di questo particolare componimento, che è diverso da qualsiasi cosa abbia mai scritto.
© Vikram Seth, 2010
(traduzione di Licia Vighi)

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