L’Italia ridotta a un lavandino intasato

L’immagine dell’Italia di oggi è quella di un lavandino intasato. Acqua stagnante, con il suo carico di lordure, detriti e batteri. L’immondizia che sommerge Napoli è soltanto l’esempio più efficace di questa metafora, e il suo peregrinare da un punto all’altro del lavandino-Italia rappresenta più il diffondersi di un cancro che un rimedio

L’immagine dell’Italia di oggi è quella di un lavandino intasato. Acqua stagnante, con il suo carico di lordure, detriti e batteri. L’immondizia che sommerge Napoli è soltanto l’esempio più efficace di questa metafora, e il suo peregrinare da un punto all’altro del lavandino-Italia rappresenta più il diffondersi di un cancro che un rimedio. Lo dimostra la resistenza dei cittadini di altre regioni a assumersi anche quel pattume, così concreto, oltre a quello politico, economico e sociale che ammorba il Paese intero.
Non si tratta più della «semplice» stagnazione economica, che da sola basterebbe a incupire le nostre giornate: l’Italia è ferma ben di più della sua economia. A bloccarla, prima di tutto, è quello che - non a torto - è stato definito il peggior governo nella storia dell’Italia repubblicana. Un governo che è riuscito davvero in un’impresa soltanto, difficile e complessa, cioè scontentare tutti: poveri e ricchi, conservatori e innovatori, vecchi e giovani, amministrazioni pubbliche e imprese private, lavoratori e disoccupati. Contratti mai rinnovati, aumento dei prezzi, diminuzione del potere d’acquisto, inflazione, finte liberalizzazioni e vero statalismo, degrado delle scuole, una magistratura nella quale non si può più avere fiducia e che non ne ha più neppure in se medesima, scandali che battono sulle nostre teste con il ritmo implacabile di una pioggia tropicale, una maggioranza e un governo perennemente in lotta contro se stessi. E, sotto, soffocati, gli italiani.
Ma sarebbe ingiusto e fazioso attribuire ogni colpa a Prodi e compagnia. Anche il centrodestra ha le sue responsabilità, soprattutto quella di avere governato a colpi di risse interne quando aveva una maggioranza infrangibile, facendo anche del buono ma mancando la rivoluzione liberale che aveva promesso. Se guardiamo il lavandino occluso come lo guarderanno gli storici del futuro, è facile capire che il male ha origini più lontane degli ultimi due governi: non ci siamo ancora ripresi da Tangentopoli. Il rinnovamento che doveva nascerne si è trasformato in un fallimento, in quel tappo che blocca tutto. Il bipolarismo - che avrebbe dovuto garantire la governabilità e l’alternanza - è diventato un gioco al massacro, nel quale ogni governo in carica si è impegnato, anzitutto, a distruggere quello che aveva fatto il governo precedente, accumulando macerie invece di costruire. Da quasi quindici anni viviamo in un’atmosfera da post-guerra civile, con i vincitori che negano ogni dignità ai vinti, con i vinti che giurano vendetta ai vincitori. Questo governo è il peggiore della serie anche perché è l’ultimo della serie, dunque agonizza nelle macerie dei precedenti e in quelle nuove che ha provocato. E non basterà una nuova legge elettorale, quale che sia, a migliorare la situazione, se non cambierà lo spirito della lotta politica, così carica di odio e quindi odiosa, di disprezzo reciproco e quindi disprezzabile.
Beninteso, neppure noi - noi popolo - siamo innocenti, con la nostra plurisecolare tendenza a dividerci in bianchi e neri, guelfi e ghibellini, e con la nostra accidia da delusi. Però le nostre colpe sono niente rispetto al danno che espiamo, alla punizione che dobbiamo subire: il fetido lavandino otturato, appunto; con il ministro della Giustizia inquisito che attacca la magistratura e viene applaudito da tutto il Parlamento; con il ministro dell’Economia che offende e umilia un’intera generazione economicamente impotente anche a causa sua; con un branco di professori universitari che si batte per impedire al Papa di parlare alla Sapienza, invece di scendere in piazza per come funzionano le nostre università, anche a causa loro; con il trio Bassolino-Iervolino-Pecoraro che dovrebbe scomparire in un bip, come l’acronimo dei loro nomi, e che invece si vantano di rimanere al loro posto; con magistrati che indagano su tutto tranne che sulla spazzatura in Campania, mentre più di un quinto del Paese è preda della criminalità organizzata; con il nostro continuo retrocedere in ogni classifica mondiale; con un’opposizione che si oppone prima di tutto a se stessa. Se vi regge lo stomaco, continuate voi.
La sensazione finale è che - in questo clima di emergenza - stiamo per assistere al crollo di un sistema.

O, per continuare la metafora, a qualcosa che dia la stura al lavandino: nel caso peggiore una drammatica crisi economica di tipo argentino, che ormai tutti temiamo; nel caso migliore, un’altra serie di scandali, fallimenti, inettitudini e idiozie che, messi tutti insieme, determineranno l’effetto Tangentopoli. Purtroppo il rischio è che, con l’acqua sporca, vada a finire nello scarico anche il bambino. Noi.

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