Ma l’offensiva non si ferma: record di raid aerei e bombe

Gian Micalessin

da Kiryat Shmona

La risoluzione c’è, il cessate il fuoco chissà. In questo avamposto di confine, bersagliato dalle katiushe di Hezbollah che anche ieri hanno bersagliato a grappoli il territorio israeliano (uccidendo tre persone e ferendone almeno dieci), attraversato dalle colonne di Tsahal, le voci delle armi e della politica non cedono all’ottimismo. «Dobbiamo completare l’intera missione, non possiamo dare a Hezbollah l’illusione di esserci arresi», ripete Amir Peretz. Lui, il ministro della Difesa, ne è sempre più convinto: per mettere fine alla minaccia dei missili, l’offensiva non si può arrestare prima del fiume Litani, 30 km a nord del confine. Il suo esercito ha appena completato la più intensa giornata di raid e bombardamenti in 25 giorni di guerra, e non sembra disposto a fermarsi. I volantini caduti su Sidone, la terza città del Libano, 35 km a nord del Litani, parlano chiaro. Annunciano nuovi bombardamenti, consigliano gli abitanti di trasferirsi più a nord per non rischiare la pelle. Non tira, insomma, aria da cessate il fuoco.
I venti di guerra promettono, semmai, altre giornate come quella di ieri. Una giornata segnata da 250 raid dell’aviazione, da 4.000 proiettili di artiglieria sparati sul territorio libanese, da un’incursione di un commando israeliano in un appartamento di Tiro controllato da Hezbollah. Un’operazione conclusasi con l’uccisione di sette guerriglieri e di un militare libanese, e con il ferimento di dieci soldati israeliani. E ieri notte, subito dopo l’intesa Onu sul cessate il fuoco, nuovi raid israeliani hanno avuto per bersagli la diga idroelettrica sul fiume Al-Bared e il ponte Al Aarida che collega il nord del Libano alla Siria.
La temeraria azione degli incursori di Shayetet 13, la più famosa unità d’élite della marina, scatta poco prima dell’alba, quando gli elicotteri scaricano gli incursori in una radura appena fuori città. Il loro obiettivo è individuare e uccidere i comandanti di una cellula responsabile dei missili lanciati su Israele dal centro della città. Chi intravede quegli uomini barbuti e armati pensa a un’unità di Hezbollah in movimento nella notte. Gli uomini di Shayetet 13 superano i posti di blocco dei guerriglieri, salgono al secondo piano di un palazzo, fanno irruzione in un appartamento. Tre delle loro prede sono barricate in una stanza e non si fanno sorprendere. Gli incursori aprono il fuoco, i militanti del Partito di Dio rispondono con kalashnikov e granate. La battaglia nel ristretto spazio dell’appartamento è micidiale. I tre hanno la peggio, ma anche gli israeliani incassano proiettili e schegge.
La seconda battaglia inizia sulle scale, continua intorno al palazzo, si prolunga fin nella zona più periferica, dove già volteggiano gli elicotteri. Il numero dei feriti aumenta, e la squadra in ritirata è in difficoltà. Gli inseguitori sono sulle sue tracce. Gli elicotteri israeliani non possono attendere, devono dare l’appoggio al commando braccato. Un gruppo di militari libanesi tenta di fermare l’incursione dal cielo mettendo mano ai lanciamissili antiaerei, ma il primo scontro tra esercito regolare e truppe israeliane dura poco. Un missile israeliano centra il blindato e uccide un soldato libanese.
Dieci soldati dell’unità sono feriti, due sono in gravi condizioni. L’operazione è riuscita, ma la sanguinosa ritirata è l’ennesima prova di quanto sia difficile sorprendere i combattenti di Hezbollah. Sempre all’alba, i missili anticarro del partito di Dio immobilizzano un blindato israeliano intorno a Taibe, uccidono un altro soldato.
Dall’altra parte del confine la pioggia di razzi riprende alle 4 del pomeriggio. Ne cadono 130 in un’ora. Ad Arab al Aramshi, sul versante occidentale del confine, un katiusha centra in pieno una casa di beduini, fa a pezzi una madre e le sue due figlie.

Altro sangue di civili arabi, altro sangue musulmano. «Maledetti hezbollah!», grida qualcuno. Un altro lo ripete. Arabi contro arabi. Molti tacciono. Altri no. «Prima l’esercito israeliano li fa fuori tutti, prima mette fine alla loro follia, e meglio è».

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