Quando gli agenti dell'Fbi gli hanno fatto scattare le manette ai polsi, accusandolo di aver trafficato con migliaia di "vite rubate", e di averlo fatto sfruttando la tragedia dell'Olocausto, il russo Semion Domnitser ha abbozzato un lieve sorriso. Sull'auto degli agenti Semion si è aggiustato il papillon - se ne era annodato uno sui toni del rosso e del grigio, quel giorno -, si è pulito le lenti degli occhialini - le lenti tonde, una leggera montatura di metallo - e si è grattato soprappensiero il pizzo sale e pepe.
Per anni, come Luigi Pirandello, al quale dicono si compiacesse di somigliare, Semion si era detto che il marchingegno da lui messo in piedi evocava un po' la vicenda umana e l'atmosfera surreale in cui galleggia la vita di Vitangelo Moscarda, protagonista di "Uno, nessuno e centomila". Anche gli uomini e le donne che Semion aveva fatto vivere, all'interno della sua commedia («si chiama truffa», lo ha corretto il giudice americano) sono unici, ma insieme anche dei nulla, dei nessuno, delle pure invenzioni; e insieme un caleidoscopio di storie, come se in ciascuno si riflettesse la vita di centomila personaggi.
L'idea di Semion e dei suoi accoliti, un'idea che sembra pensata al rione Sanità invece che a New York, era semplice e allo stesso tempo raffinata. Una truffa montata intorno a un meccanismo preciso e implacabile ai danni di due Fondi messi in piedi per ottenere dalla Germania risarcimenti a favore di ebrei che pur non essendo vissuti sotto la dominazione nazista erano dovuti fuggire dalle loro case davanti all'avanzata del Reich finendo in un ghetto, ai lavori forzati o nei campi di concentramento. Fatti e circostanze inventate dalla banda di Semion di sana pianta, messi in piedi talvolta con la complicità di chi aspirava a una "pensione" e talvolta all'insaputa di chi protagonista ci è diventato suo malgrado. Una truffa da 42 milioni di dollari durata quasi vent'anni, che vede coinvolte sei persone nel ruolo dei comprimari del vecchio Semion, e altre 11 accusate a vario titolo di complicità nella frode. Archivisti specializzati nel mettere insieme faldoni alti così fitti di dati, notizie storiche, documenti d'identità contraffatti, in modo da collocare tra i vivi, a cavallo della prima parte degli anni Quaranta, gente che magari era nata a guerra finita. Storie tragiche, di una umanità dolente e disperata che però l'aveva sfangata, e ora chiedeva di essere risarcita.
Come Olga, la bambina undicenne che nel '41, in fuga dai nazisti, era riuscita a schivare le bombe degli aeroplani mentre attraversava il fiume Dniepr, in Ucraina, per rifugiarsi insieme con la madre in un sordido sottoscala di Donetsk, dove entrambe rimasero nascoste fino alla liberazione, nel '44. O come il tredicenne fuggito da Kiev con la madre e una sorella più giovane di lui, costretto a vagare per settimane tra i fienili di villaggi distrutti e abbandonati e la foresta ucraina. Storie autenticamente false, o "abbastanza" vere, ma abbellite strada facendo e condite di privazioni, disagi, umiliazioni inenarrabili documentati da carte e testimonianze all'apparenza inoppugnabili.
I falsi "pensionati" (alcuni hanno ricevuto un'una tantum di 3600 dollari; altri un modesto vitalizio di 411 dollari al mese) erano tutti dell'est europeo, reclutati attraverso inserzioni sui giornali scritti in russo diffusi nell'area di Brighton Beach, New York, una cittadina (la piccola Odessa, la chiamano) che ha dato ospitalità a migliaia di immigrati dall'Ucraina.
Attraverso i giornali, l'organizzazione di Semion offriva i suoi servigi a chi riteneva di aver diritto a un risarcimento, "costruendo" una pratica da avviare alla "Conferenza per le vittime ebree del nazismo" messa in piedi dalla Germania nel 1951 e da allora finanziata con fior di milioni di dollari.
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