A essere scandalose non sono le parole di Massimo Ciancimino, lo scandalo risiede nel fatto che quelle parole gliele si facciano pronunciare nel corso di un procedimento giudiziario che nulla ha a che vedere con Berlusconi, DellUtri o Forza Italia. Scandaloso è che non si sia fatto tacere il «dichiarante», incriminandolo per oltraggio alla giustizia e allintelligenza dei componenti la Corte. Nellaula bunker del carcere dellUcciardone si stanno giudicando il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento a Cosa Nostra per la mancata cattura, nellottobre del 95, del boss mafioso Bernardo Provenzano. Cosa centra, dunque, la fondazione di Forza Italia? E come fa una Corte a non respingere per evidente assurdità, per palese farneticazione la «rivelazione» che Forza Italia fu il frutto della trattativa tra lo Stato e la mafia? Lo Stato rappresentato da chi, dal primo ministro Ciampi? Dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro?
Traendo dal cilindro i suoi conigli - cose dette o fatte dal padre; copie se non addirittura bozze di papelli e pizzini; una lettera scritta da Provenzano ma elaborata dal padre Vito e alla quale manca il destinatario, che però il «dichiarante» assicura fosse destinata a Marcello DellUtri e «per conoscenza» - per conoscenza! - a Silvio Berlusconi; memorie relative al disastro di Ustica; figure di ambigui agenti dei servizi segreti - Massimo Ciancimino non fa mistero di voler dar corpo allimmagine di un Silvio Berlusconi mafioso a tutto tondo. Ciò che gli è lecito fare, salvo poi doverne pagare le inevitabili conseguenze penali. Ma non in unaula dove si dibatte sulle accuse mosse a Mori e a Obinu, non in unaula dove la ricerca della verità è indirizzata alla presunta collusione dei due imputati con Cosa Nostra, non alle origini di Forza Italia.
È lecito chiedersi perché ciò sia stato consentito a Massimo Ciancimino, non un pentito, un collaboratore di giustizia, non un teste, ma un «dichiarante», figura dai contorni non ben definiti e proprio per questo circoscritti di volta in volta, secondo linteresse e la disposizione danimo. È poi doveroso chiedersi perché la Corte, una volta ascoltate le sorprendenti rivelazioni di Ciancimino non ne abbia subito fatto notare la palese contraddizione con quelle che il «dichiarante» giusto lestate scorsa: «Io a Silvio Berlusconi mafioso non ci credo. Né papà mi ha mai detto qualcosa al riguardo. Glielo chiesi tre o quattro volte, e rispose sempre allo stesso modo: È fuori da tutto. Per certo so che Berlusconi era piuttosto una vittima della mafia. Forse qualcuno intorno a lui, magari del suo più stretto entourage, può aver avuto contatti con Cosa Nostra millantando amicizie e mandati del Cavaliere, muovendosi in suo nome e per suo conto, senza che Berlusconi lo sapesse. Papà aveva solo delle perplessità su alcuni personaggi...».
È noto che la magistratura - e ciò va a suo onore - non lascia nulla al caso. Ma riempie faldoni su faldoni di atti, documenti, informative, copie conformi, carte bollate, verbali eccetera su ogni soggetto implicato nella causa in corso (e anche non in corso, se è per questo). Possibile che mancasse quellintervista rilasciata da Massimo Ciancimino? Non lo crediamo ragionevole: non si prende in mano un «dichiarante», non gli si offre la platea di unaula giudiziaria affollata di cronisti senza prima passarlo ai raggi X. Non resta quindi da pensare o a un governo alla carlona dei pentiti e dei «dichiaranti», e allora si fa impellente una legge che ne regoli la gestione.
LOLTRAGGIO IMPUNITO
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