L’ombra della Cina sul golpe nelle Maldive è il sospetto bomba lanciato dal presidente esautorato, Mohammed Nasheed, che si ostinava a non firmare un accordo militare con Pechino. Il gigante dell’Asia, nel suo storico braccio di ferro con l’India per il controllo dell’area, ha sempre utilizzato delle pedine regionali come le Maldive. Il paradiso dei turisti comincia a far parte della cosiddetta «catena di perle» costituita da porti, basi militari, centri di ascolto dell’intelligence cinesi che «circondano» Nuova Delhi.
Non solo: Pechino è l’unica superpotenza che lo scorso anno ha aperto un’ambasciata nelle isole delle vacanze e dal 2010 il numero di turisti cinesi è superiore agli europei.
Una settimana prima di venir estromesso dal potere il presidente delle Maldive, Nasheed, ha ricevuto un vero e proprio ultimatum dalle forze armate. Un alto ufficiale voleva che firmasse un accordo di cooperazione con la Cina nel campo della Difesa. «Mi disse: devi firmare questo accordo» ha raccontato Nasheed al quotidiano Indian Express. «Non lo feci e avevo già rifiutato di firmarlo tre mesi prima» spiega l’ex capo di stato. Nasheed non spiega in cosa consisteva l’accordo militare con la Cina. Però nel 2009 il governo delle Maldive siglò una specie di patto con l’India, potenza nucleare, che ha praticamente posto l’arcipelago delle vacanze sotto il suo sistema difensivo.
«Non c’era proprio alcuna necessità - ha sottolineato l’ex presidente - di firmare un simile accordo» militare con la Cina. Le isole si trovano lungo una delle rotte commerciali più frequentate dell’Oceano indiano. Una vera e propria giugulare per la Cina: l’80% del petrolio importato da Pechino parte dal Golfo Persico per arrivare ai porti cinesi attraverso lo stretto di Malacca. Non è un caso che una settimana dopo il golpe, il nuovo presidente, Mohammed Waheed Hassan, abbia accolto a palazzo, con tutti gli onori, l’ambasciatore cinese Yu Hongyao. La sede diplomatica di Pechino è stata inaugurata a Malè, capitale delle Maldive, appena l’8 novembre scorso. Quella delle Maldive a Pechino ha aperto i battenti 5 anni fa. Il ministero degli Affari esteri maldiviano ed il museo nazionale sono stati costruiti dai cinesi. Nelle isole Hulumale le compagnie con gli occhi a mandorla hanno vinto il più importante appalto residenziale del paese per la costruzione di un migliaio di case.
Non solo: nel 2010 sono sbarcati alle Maldive 120mila turisti cinesi sorpassando al primo posto gli inglesi seguiti da italiani, tedeschi e francesi. Lo scorso anno i dati dei primi sei mesi mostravano un ulteriore incremento. Colossi cinesi vogliono investire nello sviluppo di diversi resort e altri progetti turistici, ma l’ex presidente Nasheed sembrava restio.
Le Maldive sono solo un tassello del braccio di ferro fra India e Cina sul controllo di mezza Asia. I due paesi hanno combattuto una feroce guerra nel 1962 e la tensione era risalita a fine anni novanta con i test nucleari indiani. I due giganti rappresentano da soli il 40 per cento dell’intera popolazione mondiale e il loro tasso di crescita è tra i più alti al mondo. Secondo uno studio della Deutsche Bank, entro il 2020 Cina e India saranno, dopo gli Stati Uniti, la seconda e la terza economia al mondo.
Oggi i rapporti fra Pechino e Nuova Delhi sono più sereni, ma la Cina ha «circondato» nel tempo l’India con la cosiddetta «catena di perle». A cominciare dallo strategico porto di Gwadar in Pakistan, arci nemico dell’India, basi nel Myanmar, stazioni di intelligence nella baia del Bengala e accordi militari con la Cambogia. Della «catena» fa parte anche il pressante tentativo di scalzare l’India dall’alleanza con lo Sri Lanka, con investimenti come il grande porto di Hambantota. E adesso tocca alle Maldive.
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