L’onda verde torna in piazza: terrore per le strade di Teheran

La grande beffa scatta alle cinque di sera. L'appuntamento è quello d'ogni 28 giugno quando alla moschea Ghoba si ricorda la morte dell'ayatollah Mohammad Beheshti, il «padre» della Rivoluzione, l'amico fraterno dell'imam Khomeini ucciso nel 1981 assieme a 70 esponenti della neonata Repubblica Islamica da una bomba dei «mujaheddin del popolo». Quell'appuntamento obbligato, quella manifestazione impossibile da cancellare diventa la grande occasione per un'«onda verde» affamata di piazza. Le milizie basiji attendono come sempre. Gli equipaggi delle famigerate moto rosse con conducente al manubrio e manganellatore sul sellino posteriore occupano incroci e vie circostanti. Individuare oppositori e sovversivi stavolta non è facile. Arrivano mescolati ai «pii dimostranti», alle prefiche e alla folla di stato.
Lì in mezzo c'è anche Akbar Ashemi Rafsanjani l'ex presidente, il capo della Assemblea degli esperti, lo Squalo sospettato d'appoggiare Hossein Moussavi e di voler disarcionare la Suprema Guida Alì Khamenei. Assieme a lui avanza in un chiaro segno di sfida, la figlia Faezeh arrestata e liberata solo pochi giorni prima. La vera sorpresa è l'ayatollah Mehdi Karroubi, il grande sconfitto, il riformista umiliato e ridotto a percentuali decimali. È un ex presidente del parlamento, un alto esponente religioso, un uomo di sistema e neppure i basiji possono fermarlo. Non appena compare la folla silenziosa si agita, si scompone, rompe le fila. Seguaci e riformisti alzano i pugni al cielo, gridano gli slogan della rivolta, si fanno largo verso la moschea. La falange dalle moto rosse si scatena, sgomma verso chiunque sembri un oppositore mentre la polizia cancella strade e moschea nella nebbia dei lacrimogeni. Ma è un doppio smacco. In quella coltre di fumo e lacrime si dissolve una manifestazione per un «martire» simbolo della rivoluzione, per uno dei pochi caduti capaci di turbare con la sua morte la sacrale imperturbabile fermezza dell'Imam Khomeini. Quella manifestazione dove i manganellatori non distinguono più amici e nemici diventa la raffigurazione d'una Repubblica islamica divisa e confusa dove la protesta rinasce e si alimenta sfruttandone simboli e ricorrenze.
Quanti fra quei 5mila sono venuti a ricordare l'ayatollah Behesthi? Quanti sono lì per Karroubi e Moussavi? Nessuno lo sa, ma in quella nebbia tutto diventa rivolta. E anche l'assenza di un Moussavi sempre più invisibile diventa irrilevante. Ai 30 arresti della sera segue un'altra notte di repressione, un'altra grande caccia capace di riempire celle e galere. Quanti sono i detenuti? Quanti sono i morti? Nessuno lo sa di preciso.

A dar retta alla Fidh (Federazione internazionale dei diritti umani) gli arrestati superano ormai quota duemila. I dispersi, quelli di cui non si hanno più notizie sarebbero centinaia. E negli ospedali di Teheran venti cadaveri guardati a vista dalle forze di sicurezza attendono di esser riconosciuti.

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