L’opinione Ma i rocker doc sono i genitori

Ragazzini col look similwoodstock accanto a 50enni vestiti all’ultima moda; teen ager superfirmati vicino a padri con barbe incolte e jeans sdruciti. Tutti uniti in nome del rock. È questo il (multicolore) pubblico dei concerti delle grandi rockstar; «è questa condivisione di gusti musicali - scrive Beppe Severgnini sul Corriere - una delle grandi novità di quest’epoca». Longevità del rock e confidenza tra generazioni, impensabile fino a qualche tempo fa, spiega Severgnini che aggiunge, «ragazzi, portate i genitori ai concerti». La tendenza, invece, è esattamente contraria. Siamo noi degli «anta» che portiamo i ragazzi nei nostri territori cercando di dribblare la nostalgia. Chi ascoltava Jim Morrison, Jimi Hendrix, i Rolling Stones e li ascolta superati i 50 anni vive una sindrome di Peter Pan positiva (non alla Michael Jackson per capirci). Ha lasciato dentro questi adulti - seppur esteriormente travolti da rughe e pance che non fanno sconti - uno spirito ludico, quel tanto di disincanto e fantasia che per un attimo fuggente li porta a identificarsi con i fuorilegge cantati dal Boss (da Johnny 99 ad Outlaw Pete) e con la mitologia dell’America on the road. Chi vive ancora queste emozioni (rigurgiti infantili, penserà qualcuno) sa cosa provano i figli che ascoltano i Coldplay perché in un angolo del suo io è un eterno bambino - ma non un illuso - che sa che il rock non è «we can change the world» ma, semplicemente e meravigliosamente, quell’«It’s Only Rock and Roll But I Like It» cantato dai Rolling Stones. L’illustre pianista Ludovico Einaudi ci raccontava: «Ho fatto scoprire a mio figlio i Cream ed è impazzito». E io ho decine di amici la cui prole s’è avidamente gettata sui loro polverosi Lp giurando fedeltà ai Creedence e ai Grateful Dead. E poi condividere non vuol dire essere d’accordo. Nessuno convincerà mai uno di noi «vecchi» che Lenny Kravitz è meglio di Hendrix; per molti ragazzi il mitico Neil Young country dalla voce querula sarà una tortura cinese, ma così il dibattito è aperto. E così si scopre che i Green Day sono nipotini degli Who; che il nu metal l’hanno inventato i Led Zeppelin che a loro volta pascolavano nel blues degli anni ’30. E allora la condivisione si arricchisce con la sfida. Noi pensiamo di aver ragione perché - come scrive Ermanno Labianca nell’incipit del suo libro Springsteen.

Long Walk Home - «ci hanno fregato gli anni ’70. E tutta quella irripetibilità che abbiamo scambiato per un invito a replicare». Loro perché hanno l’entusiasmo di chi cerca ancora nel rock un nuovo suono che vive sputando sulle convenzioni.

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