L’oppressione di principe e gabellieri

Le libertà personali e la lotta all’evasione fiscale sono valori entrambi fondanti di una democrazia liberale moderna. Quando non c’erano le prime, c’era l’oppressione del principe o del despota di turno accompagnata da mille gabellieri. Quando non si pagavano le tasse, le comunità non erano nazioni. Un equilibrio, dunque, indispensabile nel quale nessuno dei due valori può prevaricare l’altro. Con gli ultimi provvedimenti fiscali si sta rompendo questo equilibrio e si sta lentamente scivolando verso nuovi e pericolosi autoritarismi. Qualche esempio. Nei nuovi studi di settore stanno per essere introdotti gli «indicatori di normalità economica e di coerenza». Questi nuovi strumenti presuntivi dei ricavi verranno messi nelle mani dell’Agenzia delle entrate ma, cosa ancora più grave, non determineranno presunzioni cosiddette semplici che non attivano cioè di per sé l’accertamento fiscale che richiede altre incongruità nella dichiarazione del contribuente. Le nuove presunzioni saranno, invece, legali, cioè determineranno un accertamento automatico e analitico allorquando le dichiarazioni del contribuente non dovessero collimare con gli indicatori di coerenza e di normalità. Insomma, una sorta di ipse dixit nelle mani esclusive del principe e dei suoi gabellieri.
Andiamo avanti. Per i soli professionisti e lavoratori autonomi (ma non è incostituzionale?) scompare la moneta. Chiunque, infatti, riceva una prestazione da questi lavoratori del valore superiore a 100 euro dall’1 luglio 2008 deve pagare con assegni, carte di credito e bonifici ma non potrà portarli in deduzione. Si complica, insomma, la vita di tutti i lavoratori autonomi senza alcun beneficio per i clienti-consumatori. Ma non è finita. C’è il nuovo obbligo di trasmettere all’Agenzia delle entrate l’elenco dei clienti e dei fornitori nonché delle relative operazioni finanziarie e, come se non bastasse, gli uffici possono chiedere a ciascun contribuente notizie su soggetti terzi. Non vorremmo sbagliare, ma l’ombra della delazione di massa si staglia in maniera inquietante. Una delazione condominiale, sui posti di lavoro, nelle aziende, nei ristoranti e in ogni luogo. Per non parlare dell’anagrafe dei conti bancari che possono essere trasmessi all’autorità giudiziaria che in realtà già oggi può accedere ai conti di ciascuno nel corso di indagini penali. Il che significa che se una norma ripete una facoltà già esistente è segno che vi sarà una sollecitazione per un’offensiva inquisitoria anch’essa di massa.
Ma c’è di più. Se una pubblica amministrazione o una società a prevalente partecipazione pubblica deve pagare una fornitura o un servizio ricevuto del valore di più di 10mila euro, deve accertare che il suo fornitore non abbia un debito con lo Stato. Se lo avesse, non deve essere pagato. Intanto, però, la pubblica amministrazione si è presa la sua fornitura e il suo servizio. Sembra incredibile, ma è così. È la storia rinnovata del principe e dei gabellieri. Un Paese serio avrebbe detto che chi ha un debito con lo Stato non può fornire alcunché alla pubblica amministrazione. E quando invece è lo Stato a non pagare cosa succede? Nulla di nulla. Ai contribuenti si dice «zitto e mosca». Di nuovo riemerge la figura del principe e dei suoi gabellieri.
Per non parlare delle modifiche ad una legge dell’Italia fascista emanata nel 1941. La vecchia norma consentiva a tutti di fare la rassegna stampa con il solo obbligo di citare la fonte. La nuova norma imporrebbe a chiunque volesse fare una rassegna stampa (aziende, categorie, ordini professionali) di pagare una royalty ai rispettivi editori. Naturalmente niente si fa per niente. I giornali che ricevono oltre a questa royalty anche soldi dallo Stato sono tenuti a pubblicare tutto ciò che il governo chiede per illustrare la propria attività. Come si vede ritorna la solita tenaglia degli anni più tristi, un’oppressione questa volta fiscale e una propaganda obbligatoria e diffusa. E tanto per finire questa carrellata i nuovi poteri consentono agli agenti della riscossione il sequestro di affitti, di conti bancari, di mobili e finanche del quinto dello stipendio prima che possa venire un giudizio nel quale il contribuente abbia fatto valere i propri diritti.
Una lotta all’evasione con queste modalità è pericolosa per le libertà di ciascuno. I poteri degli uffici pubblici e dei singoli agenti di riscossione saranno, infatti, sempre più vessatori e crescerà la tentazione di un controllo politico sulle persone. Ma non basta. Questo sistema deprimerà anche il tasso di crescita dell’economia. Una società meno libera, infatti, crescerà di meno così come una grande evasione fiscale è una palla al piede per la ripresa dello sviluppo. L’unica strada capace di preservare quell’equilibrio fondamentale tra libertà personale e dovere fiscale è quella del contrasto di interesse tra i contribuenti in cui ciascuno può detrarre la spesa per prestazioni che altri gli fanno.

Una strada spesso invocata anche dai singoli ministri nelle trasmissioni televisive ma puntualmente abbandonata dall’Esecutivo e nel Parlamento. Non vorremmo essere facili profeti, ma vediamo all’orizzonte uno tsunami con il suo carico di disastro economico e democratico.

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