Enrico Lagattolla
da Milano
Milano come Terracina, due anni prima. La rapina a una gioielleria, pochi secondi che consumano tutto. Da piazza Municipio a via Ripamonti, 13 aprile 2004. Giuseppe Maiocchi che spara. «Legittima difesa», decide il Tribunale. Ieri, a distanza di chilometri, la scena che si ripete. Epilogo opposto. «È terribile».
Signor Maiocchi, ha saputo?
«Mi dispiace che sia successo, mi dispiace davvero. Manderò un telegramma ai familiari della vittima, cercherò di mettermi in contatto con loro. Voglio che sappiano del nostro cordoglio. E che siamo vicini al loro dolore».
A due anni di distanza, una dinamica simile. Lei ha detto più volte che ognuno ha il diritto di difendere la propria incolumità.
«Non voglio fare lavvoltoio, né approfittare di questa terribile notizia. Non mi sentirete mai dire ecco, vedete, questo è quello che sarebbe potuto accedere anche a noi. È accaduto qualcosa di drammatico, non è certo il caso di strumentalizzare una tragedia. Però...».
Però è accaduto di nuovo.
«Questa è una realtà che chiunque faccia questo mestiere conosce, sono rischi che purtroppo abbiamo imparato a mettere in conto. Dopo le forze dellordine, noi siamo la categoria più a rischio».
I commercianti vivono un«emergenza sicurezza»?
«La verità è che noi facciamo quello che possiamo. Ci organizziamo, abbiamo pareti blindate, porte a bussola, telecamere, casseforti. I negozi come il nostro adottano tutti gli accorgimenti possibili. Ma non possiamo disporre di personale addetto alla sicurezza, come fossimo una banca. Sappiamo che corriamo continuamente dei rischi, e cerchiamo di prevenirli. Ma non possiamo blindarci in negozio. Il rischio è anche fuori. Io, ad esempio, quando torno a casa non faccio mai la stessa strada. Capisce che vita? Eppure siamo preparati, noi il nostro lo facciamo».
Qualcun altro no?
«Per carità, il lavoro e limpegno delle forze dellordine sul territorio cè ed è visibile. Il problema è che purtroppo non è sufficiente. Lunico rimedio è la prevenzione, cercare di colpire il fenomeno alla radice».
Non sembra una cosa facile.
«Il punto è che più che prendere di mira i banditi che mettono a segno le rapine, bisogna smatellare le organizzazioni che ci sono alle spalle. La maggior parte dei furti nelle gioiellerie è commissionato da ricettatori che esportano la refurtiva nei mercati dellEst europeo, da dove in genere vengono anche i banditi da strada che realizzano i colpi».
Dunque?
«Serve un maggior impegno investigativo, che colpisca la rete di appoggio di cui godono le organizzazioni criminali, e una politica più attenta agli ingressi nel nostro Paese. Queste persone sono conosciute dalle polizie di mezza Europa, e allora comè che arrivano in Italia senza essere intercettate alle frontiere?».