Cronache

L’uccisione del notaio dà il via alla guerra civile

L’uccisione del notaio dà il via alla guerra civile

Secondo il Gimelli - storiografo della Resistenza in Liguria - si trattò di un'azione dei GAP, fonti locali attribuiscono l'omicidio Marana ad un gruppetto di individui effettivamente gravitanti nell'ambito della Resistenza e questa seconda ipotesi appare la più verosimile.
Di fatto, il vecchio notaio Filippo Marana venne rinvenuto cadavere nella sua villa di Megli, sulle alture di Recco, verso le ore 18 del 5 luglio 1944: colpito violentemente al cranio da corpo contundente ed attinto da due colpi di pistola automatica.
Ultimo di una antichissima famiglia di notai in Recco, Marana era stato sindaco della città durante la prima guerra mondiale e si distinse sempre per generosità d'animo e per le iniziative benefiche verso i combattenti ed i loro congiunti. Stile e signorilità contribuirono a farne un personaggio, estroverso e, di profonda cultura classica, fu un perfetto dannunziano come ancor oggi testimoniano le citazioni del Vate scolpite sui marmi sparsi nel parco della villa dove visse.
Fu tra i fondatori del fascio di Recco - il terzo d'Italia - e, verso il tramonto del regime, se ne allontanò per pura scelta critica e di contestazione. Infine, per la coerenza che lo distinse in tutte le sue vicende di vita, si sentì di dover comunque aderire alla Repubblica Sociale Italiana pur senza entusiamo e così partecipandovi passivamente.
La sua eliminazione va letta in quest'ultima sua scelta e fu uno dei più odiosi delitti perpetrati nei confronti degli avversari: secondo il Pisanò, l'omicidio di Marana segnerà l'inizio della guerra civile nel levante ligure.
Ovviamente è rimasto delitto insoluto e, come da collaudato copione, chi sapeva o aveva visto non si trovò nell'immediatezza del fatto né si recuperò più quando, agli inizi degli anni settanta, il caso venne riaperto dall'allora Sostituto Procuratore della Repubblica dottor Mario Sossi.
Il movente
Assunto che la vittima era un buon obiettivo politico, che era benestante, che - pur benvoluta - esprimeva pubblicamente il suo disprezzo per alcuni malandrini locali, in merito all'omicio possono desumersi i seguenti moventi:
a) delitto «politico».
b) crimine commesso da ladri colti sul fatto.
c) vendetta di alcuni recchelini oggetto di severa pubblica condanna verbale da parte della vittima a seguito di comportamenti disonesti.
Nella vicenda Marana va aggiunta anche l'ipotesi di due bersaglieri, disertori del vicino presidio, che per mezzo del delitto avrebbero accreditato il loro transito all'altra parte: quest'ultima ipotesi, anche se verosimile, appare assai confusa e contrasterebbe nettamente le risultanze del citato Gimelli.
Semmai, e questa è la versione più accettabile, il Marana potrebbe essere stato eliminato dai due soldati disertori accompagnatisi però ad un gruppetto di partigiani di indiscutibile colore. Ed una eventuale presenza di soldati sarebbe provata dal rinvenimento sulla scena del crimine di un paio di scarponi sfondati di foggia militare (abbandonati rotti e sostituiti con le scarpe civili sfilate direttamente dai piedi del cadavere).
Rimane tuttavia impensabile come non possano essere mai usciti i nomi dei due militari poiché, pur nella confusione di quei momenti, avrebbe dovuto esistere un generico organigramma sulla dislocazione e composizione numerica ed anagrafica dei reparti in zona e comunque non avrebbe dovuto rivelarsi così difficoltoso individuare i nominativi di eventuali disertori.
Tale mancanza verrebbe tuttavia giustificata dalla grave disorganizzazione e confusione del momento che non permise alcun efficace accertamento. Né, successivamente, il caso venne mai più considerato con la conseguente perdita di ogni documento utile (la sua riapertura negli anni '70 fu estremamente intempestiva per il raggiungimento di qualsiasi scopo investigativo).
L'ipotesi dell'omicidio premeditato è la privilegiata, ovvero un delitto organizzato dagli altri nei confronti di una nota figura di «fascista buono»: il colpire i buoni fu metodo successivamente molto utilizzato con la finalità di suscitare le sistematiche generiche rappresaglie dell'ala interventista ed intransigente della RSI, azioni che in breve avrebbero provocato l'indebolimento del consenso popolare e anzi la pubblica avversione.
Gli assassini, per quanto il risultato di un'indagine effettuata dal Centro Ricerca Criminalistica di Genova, potrebbero essere arrivati da Capreno (frazione di Sori) ed uniti ad almeno due soggetti di Corticella (Testana): i condizionali sono di obbligo stando l'impossibilità di raggiungere la certezza di prova causa una perseverante omertà di chi già ci ha già confidato troppo e comunque facendolo in modo defilato. I delinquenti non sarebbero più in vita e se ancora qualcuno avesse resistito alla vecchiaia, nulla avrebbe più da temere poiché quei reati sono stati annullati dall'intervento delle successive sanatorie.
La scena del crimine
Marana, quasi ottantenne, venne rinvenuto circa due ore dopo l'aggressione, steso bocconi in una pozza di sangue in fondo all'ingresso di casa ed accanto alla scala a chiocciola che portava ai piani superiori. Gli aggressori si trovavano in attesa, già all'interno dell'abitazione. Marana proveniva da un vicino rifugio di fortuna contro gli effetti dei bombardamenti aerei ed il cadavere verrà ritrovato dalla domestica (anch'essa ospite del rifugio) insospettita per non aver visto il notaio far ritorno. Egli portava sempre con sé uno sten (pistola mitragliatrice a canna corta, arma trovata su di un tavolo accanto al cadavere) che nulla gli sarebbe servito poiché aggredito da più persone e senza possibilità di difesa.
Nulla vieta di pensare comunque ad un estremo tentativo di sottrarsi messo in atto dalla vittima. Una minima colluttazione potrebbe essere desunta dall'iniziale evento traumatico (colpo alla testa) non causato dal fatto di aver urtato contro spigoli o in seguito alla caduta sul pavimento. Il cadavere presentava due fori da proiettili di rivoltella sparati da vicino: uno sotto lo zigomo destro ed uno nel collo. Assenza di rigor mortis e presenza di calore corporeo riportano ad una fascia temporale breve tra l'atto ed il rinvenimento (ciò da ricognizione esterna eseguita dal dottor De Barbieri, medico condotto di Recco, che rilasciava il certificato di morte).
Non seguì alcuna perizia autoptica né alcuno dei presenti ha mai esaminato l'eventuale ritenzione dei proiettili o l'eventuale presenza di fori d'uscita. Sta di fatto che ad un recente sopralluogo nella villa non é sfuggito che il soffitto della stanza vicino al punto del delitto presenta ancora traccia di due colpi che sono riconducibili a proiettile di rivoltella (il soffitto, artisticamente lavorato, non è mai stato toccato da alcuno dei successivi proprietari della villa). Nella scena del crimine i mobili apparivano a posto, inesistenti segni decisi di lotta, nessun oggetto (molti ve ne erano di valore) trafugato, a parte l'orologio d'oro della vittima. Unica presenza interessante: il paio di scarponi rotti di tipo militare ed una «pezza da piedi» che i militari usavano al posto delle calze.
Comunque, sia la presenza degli scarponi sfondati, l'esclusivo furto dell'orologio avendo tralasciato altri costosi beni in evidenza (compreso del denaro rinvenuto anche nei vestiti di Marana) inducono alla conclusione di una esecuzione con tentativo di parziale alterazione della scena del crimine (attività depistante).
La riapertura del caso
Su pressione di diversi concittadini, il caso Marana fu riaperto nel 1971. Se ne occupò l'allora Sostituto Procuratore della Repubblica dottor Mario Sossi che si avvalse dell'équipe medico - legale composta dal professor Athos La Cavera e dal dottor Sergio Bistarini. Vennero rintracciate le autorità che, al momento, erano presenti e si occuparono alla vicenda. Si convocarono cittadini di Recco che si riteneva in qualcosa avessero potuto aiutare ma neanche la legge del tempo consegnò all'indagine migliori risultati.
Si trovarono invece difficoltà ad individuare l'effettivo luogo di sepoltura del Marana che, tumulato subito in una tomba provvisoria del cimitero di Megli, dovette essere poi traslocato nelle mura al di fuori del camposanto e senza alcuna utile indicazione. Solo con l'aiuto del becchino dell'epoca si poté individuare il posto dell'ultima sepoltura. Dall'esame dei resti, reperiti ben conservati, altro non si ebbe che la conferma dei fori da proiettili né la salma, di per sé, non avrebbe potuto presentare alcun altro elemento utile all'investigazione.
Un sincero ringraziamento al Sig.

Vincenzo Carbone, attuale proprietario della Torre dei Marana in Megli per l'ospitalità ricevuta e la disponibilità offerta agli operatori dal Centro Ricerca Criminalistica di Genova che hanno curato il presente lavoro.
*Presidente Centro
Ricerca Criminalistica Genova

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