L’Udc resiste al richiamo del Cav e rimane alla finestra. Per ora

Il premier ha confidato ai suoi l’auspicio: "Dovrebbero venire con noi". Ma Casini frena: "La nostra prova di responsabilità è la fedeltà agli elettori"

Roma Il Cavaliere chiama, l’Udc - per ora - non risponde «eccomi».
Nel vertice di venerdì, il premier è tornato ad auspicare un ritorno a casa del figliolo prodigo: «Pier Ferdinando Casini dovrebbe venire con noi», avrebbe sospirato a porte chiuse, davanti allo stato maggiore del Pdl.
Un sospiro destinato però ad uscire dalle quattro mura di palazzo Grazioli, e ieri diligentemente riferito alle agenzie da più di un partecipante al summit. Chiaro il senso del messaggio: meglio un Casini alle porte che un Fini in casa; i parlamentari «dissidenti» del presidente della Camera non avrebbero più alcun peso coi loro «sì», i loro «no» e i loro tediosissimi «ni» se le truppe centriste fossero allettate a tornare dentro il centrodestra. Come il loro elettorato gradirebbe mille volte più che un’improbabile alleanza con la sinistra, non si stancano di ricordare gli uomini del Cavaliere.
L’Udc, come facevano un tempo le ragazze da marito, non dice né sì né no e continua a fare la parte del responsabile «partito della Nazione». Casini si augura che «sia finita la sceneggiata napoletana» della rissa nella maggioranza, perché «non è degna della serietà che richiede la situazione». Quanto alle mosse future dell’Udc, «noi la nostra prova di responsabilità la diamo, fedeli ai nostri elettori». Spiega il parlamentare Roberto Rao, braccio destro del leader Udc: «Continueremo a tenere la linea che abbiamo sempre seguito in questa legislatura: se ci presentano provvedimenti buoni e condivisibili li voteremo, altrimenti no». Anche sulla giustizia? «Naturalmente, anche sulla giustizia: vorrei ricordare che fu il nostro parlamentare Michele Vietti, oggi vice presidente del Csm, a proporre per primo lo scudo giudiziario per le alte cariche. Certo se ci ritirano fuori quel provvedimento sul processo breve, non se ne parla».
L’ultimo incontro ufficiale tra Berlusconi e Casini risale alla celeberrima cena in casa Vespa, a inizio luglio, che tanto fece arrabbiare la Lega e il ministro Tremonti. Ma tra i due, assicurano in casa Pdl, i contatti non sono mancati anche recentemente. Ed è stato apprezzato, nell’inner circle berlusconiano, il messaggio che Casini ha voluto lanciare proprio in concomitanza con le esternazioni in difesa di Fini giunte dal Quirinale: non si possono fare «governi contro qualcuno, magari proprio contro chi ha vinto le elezioni, perché questo spaccherebbe il paese», ha scandito Casini. Insomma, un secco niet ad esecutivi «tecnici» anti-Berlusconi, sostenuti da variopinte maggioranze da Fini al Pd. E infatti il Pd si risentì assai con Casini, accusandolo di non volere «avviare il superamento del berlusconismo».
L’Udc, tra segnali e controsegnali, resta per ora alla finestra a guardare che accade, tenendosi le mani libere. «Sappiamo benissimo che le aperture a noi servono a Berlusconi soprattutto a scopi interni alla maggioranza, per far paura a Fini: faccia pure». Anche se «non ci presteremo al gioco di sostituire in Parlamento i voti di Fini, se dovessero mancare». Anche se l’idea di un partito insieme ai finiani si è un po’ appannata, dopo la turbolenta estate monegasca.

Ma i centristi sono pronti ad usare le loro armi di deterrenza per evitare che la situazione precipiti: in caso di elezioni anticipate, il Cavaliere sappia che «potremmo rendergli molto difficile raggiungere la maggioranza in Senato: anche senza allearci con la sinistra, potremmo fare patti di desistenza con tutto il fronte anti-Berlusconi, e in metà delle regioni non avrebbe il premio di maggioranza».

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